da uno scritto originale di Benito Viapiana |
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Era il lontano Aprile del 1964... molti di noi, siamo stati spinti dal destino ingrato a lasciare la nostra terra natia, chi per una ragione chi per un’altra. Tutti con la medesima ricerca... quella di trovare un futuro migliore. La nostra regione... terra arida e povera non dava alcun segno di miglioramento. La guerra aveva tracciato un segno di povertá e tanta gente viveva nell’obbrobrio e nello squallore, senza vedere una via di uscita. Il lavoro mancava... i contadini erano stanchi per il poco rendimento che il terreno dava, e l’artigianato stava per spegnersi. Così fummo costretti, anche se a malincuore, a lasciare la nostra terra, i nostri amici d’infazia, ma, soprattutto le nostre care famiglie. Io, allora avevo gia vissuta questa esperienza quando partii per il Lussenburgo. E lì a dire la veritá mi piaceva, sia per il lavoro, sia perchè era anche vicino, e potevo far ritorno quando volevo. Bastava una sttimana di lavoro per mettere da parte il necessario per ritornare tra i miei cari. (Cosa che non potevi fare vivendo in una terra lontana) Per questa ragione io non volevo andare in Canada. Ricordo, quando ricevetti una lettera da mio padre, informandomi di ritornare dal Lussemburgo perchè erano arrivati i documenti per il visto a Roma. Quella lettera mi rattristò un pó non ero contento di quella decisione, non volevo andare a vivere in una terra così lontana. Mio padre amava vedere la famiglia unita e diceva che, dopo che io e i miei fratelli ci fossimo sistemati lá, sarebbe venuto anche lui con il resto della famiglia. (Questo non si avverò mai) Mia madre non si pronunciava, però spesso diceva che lei voleva vivere con me. Così ritornai dal Lussemburgo, e ci recammo a Roma per il “visto”. SUL TRENO PER ROMA
Cosenza La stazione com'era A quel tempo vi era anche la paura di essere respinti dall’ufficio di Roma. Ricordo, eravamo arrivati alla stazione del treno di Paola, dove salì un umo sulla cinquantina, ben vestito e molto cortese. Si era seduto a fianco di mio padre e subito mio padre incomiciò a dialogare con questa persona. Io ero molto timido allora, ed ascoltavo in silezio il loro conversare. Quest’uomo faceva tantissime domande a mio padre, ed io sospettavo che questi ci avrebbe fatto qualche tranello...Tra tutte le domande che poneva a mio padre; ricordo che gli chiese se eravamo devoti di San Fracesco di Paola; e mio padre gli disse: certamente! Informandolo che tutta la famiglia si era recata al Santuario di San Fracesco. (Qualche anno prima durante l’Estate ci recammo alla spiaggia di Paola, e poi visitammo anche il Satuario).
Il treno per Roma Così arrivammo a Roma e tutto procedette magnificamente all’uficio; informandoci che avremmo ricevuto il passaporto fra qualche settimana. Con mio padre ci recammo al Vaticano per una brevissima visita, e poi fecimo ritorno alla stazione ferroviaria per ritornare a Dipignano. Quando arrivammo al paese, non facemmo neanche in tempo di dire che tutto era andato bene; che mia madre rispose: “Il passaporto è gia arrivato”. Cosa incredibile... fino aquesto giorno non sono mai riuscito a capite, come il passaporto sia potuto arrivare prima di noi! L’unica cosa che abbiamo sempre creduto; che quell’uomo misterioso che abbiamo incontrato sul treno alla stazione di Paola, probabilmente era un impiegato all’ufficio che abbiamo visitato a Roma e ci ha usato tanto riguardo. LASCIARE IL PAESE NON FU FACILE
Ricordo vividamente il giorno che lasciai il paese Dipignano. Era una giornata primaverile, calda e soleggiata. Mia madre tratteneva le lacrime per non mostrarmi il suo dolore, perchè le avevo detto: se ti vedrò piangere, io non partiró. Mio padre andava avanti e indietro per le stanze, muto e senza parlare. Pareva di essere un funerale... sì un funerale, perchè allora si partiva e non si sapeva quando ci si poteva rivedere. Eravamo una bella comitiva che lasciava Dipigano quel giorno. Alcuni nomi li ricordo; altri specialmente i loro cognomi forse non li ho mai saputi. Tra questi ricordo, Luigi Fiorino sua moglie Maria e i due figli ancora piccolini Saverio e Santino , sua suocera meglio riconosciuta come (Finuzza e Betta mi scuso con i parenti se non ricordo il suo nome). Mario Miceli, mio coetaneo dove ci conoscemmo meglio e facemmo amicizia sulla nave. questa amicizia dura ancora oggi. Mario Scornaiechi, Antonio Beltrano; credo il cognome sia corretto, di sopannome “Furmichella”. Allora sposo novello, era appena sposato e faceva ritono in Canada. Lui ci parlava delle sue esperienze canadesi e ci preparava all’arrivo in Canada. Mario Ciardullo ci accomodò tutti nel suo pulmanino e ci accompagnò fino al Porto di Napoli. ARRIVO A NAPOLI
Arrivati a Napoli, ci misero tutti in una grande sala insieme a gli altri passeggeri, sia turisti che avevano visitato l’Italia, che gli emigranti. L’attesa per essere imbarcati era lunga, vi era molto tempo d’ammazzare; poichè si partiva la sera tardi, avevo molto tempo a mia disponibilitá. Quando ero a Lussemburgo avevo conosciuto un napoletano, il cui nome era Coda Lucio, il quale quando lasciò il Lussemburgo mi disse: “se ti trovi a Napoli vieni a trovarmi”. Mi ricordai di lui e poichè avevo il tempo a disposizione decisi di andarlo a trovare. Chiesi a qualcuno, quando era distante di lá, la Piazza Nazionale e mi dissero che era molto vicina. Così mi recai da Lucio dove fu molto sorpreso nel vedermi. Quando gli dissi che ero di partenza per il Canada, mi fece capire che era contento per me. Passammo alcune ore assieme e poi mi accompagnó al porto, dove ci salutammo e non ci siamo più rivisti. (Questa è la vita!) Trovai di nuovo gli amici di viaggio paesani ed isieme si parlava di questo lunghissimo viaggio. Si scherzava, raccondando dei fatti del passato cercando di dimenticare la nostalgia che giá si provava per i nostri cari appena lasciati. Mentre si conversava, la Signora Finuzza (vecchia volpe) mi disse: “Benì, vida ca chilla fimmina te vo”! Era una di quelle donne... Certamente mi resi conto di tutto ció, poichè a cenni mi invitava a seguirla. Quello non era il tempo di una simile impresa, perciò rimasi fermo insieme al gruppo. IMBARCO SULLA VULCANIA AL PORTO DI NAPOLI
Finalmente a sera tardi ci fecero imbarcare... eravamo stanchissimi ma pieni di euforia. Dopo un paio di ore la nave incominciò ad allondanarsi lentamente dal porto di Napoli. Sembrava di essere ancora fermi, mentre pian piano si poteva notare l’allondanarsi dal Porto. Salpammo tutta la notte e raggiungemmo il Porto di Palermo il mattino seguente, per fare imbarcare altre persone. Si partì subito da Palermo. Era una bellissima mattinata, calda e si provava piacere essere a poppa. Eravamo tutti lá a goderci il panorama che pian piano lo vedevamo sparire davanti ai nostri occhi. Sosta al Porto del Portogallo
BREVE VISITA AL PORTO
La Mattina seguente arrivammo al Portogallo, dove ci dissero che saremmo potuti scendere, e visitare qualche negozio vicino. Avevo fatto gia nuove amicizie, e scesi a terra con questi dove ci recammo in un Bar per gustare un buon caffè. Del Portogallo ricordo pochissimo, sarebbe presuntuoso parlare di qualcosa che non ho visitato a lungo. Ricordo la strada era costruita a pietra, (come parte della nostra Cosenza vecchia) e dei bellissimi archi dove si entrava in Cittá, questo era qualcosa di diverso per me, forse per questo mi rimase in mente. Qui sulla nave si fecero tante fotofrafie, dove degli amici che avevo incontrato mi fornirono alcune foto-ricordo le quali con piacere inserisco su questo documento. LA RAGAZZA AMERICANA - BARBARA TOTOROTO’ Foto: Serata di gala sulla Vulcania
Come dissi, avevo gia fatte delle nuove amicizie. Tra queste vi era anche questa ragazza Americana con un cognome molto strano “Totorotó”. Non parlava una parola in italiano. Tutti noi del gruppo ammiravamo questa ragazza a distanza, mentre lei si faceva un solitario a carte seduta tutta sola ad un tavolino. Nessuno osava avvicinarla, eravamo tutti timidi e paurosi. Tra questi amici vi erano anche degli Italiani che erano gia stati in America, e questi credevo parlassero l’inglese, peró mi chiedevo, se parlano l’inlese perché non si avvicinano a questa ragazza? Nessuno di questi prese l’iniziativa per avvicinarla. Cosí ad un tratto io feci coraggio e l’avvicinai chiedendole: parla italiano? “Poco, poco” rispose. Parlez vous francaise? = Parla il francese? Lei rispose: “No”. Allora cominciai a parlare in italiano lo stesso, co la speranza che comprendesse qualcosa. A stenti mi fece capire che i nonni erano italiani, peró lei non parlava l’italiano. Quando questi amici videro che io ero seduto al tavolo con lei, tutti si avvicinarono attorno al tavolo, e si scherzava con qualcuno che traduceva quá e lá qualche battuta. La sera si ballava... tutti che aspettavano il turno di ballare con questa bravissima ragazza che non diceva mai no’ a nessuno. LA RAGAZZA NAPOLETANA - NUNZIA ESPOSITO Durante questi due o tre giorni incontrai una ragazza napoletana Nunzia Esposito, una bellissima ragazza dagli occhi a mandorla. Con l’incontro di questa ragazza il viaggio sembrava molto più facile. Si usciva sempre insieme e si passavano delle ore insieme. Aveva anche una sorella, e l’amico Mario Miceli mi chiese: “chiedi alla tua ragazza se mi fa conoscere la sorella”. Così anche lui usciva con la sorella. Una cosa è certa all’etá di ven’tanni non si ha la testa sul collo, però questa ragazza io l’avrei veramente sposata... Purtoppo lei andava negli Stati Uniti, mentre io al Canada. Ci scrivemmo per un po di tempo, poi tutto finì... Una bellissima ragazza!!! IL MAL DI MARE Avevamo appena lasciato lo stretto di Gibilterra, era ancora caldo ma non più come lo era a Napoli e al Portogallo. Tirava un venticello che disturbava stare a poppa, perciò passavamo piú tempo nel salotto a chiacchierare. Si faceva colazione, pranzo e cene quasi sempre insieme. Ricordo un giorno eravamo a pranzo, tutti seduti e pronti a divorare in pochi minuti il pranzo, per poi ritornare a giocare in comitiva. Quel giorno ci avevano preparato una minestra di cavoli. Io a dir la veritá non amo tanto mangiare cavoli, forse per questa ragione stavo lì con la forchetta a scartare quello che non tanto gustavo, quando mi accorsi che nel piatto c’era un bruco, (non esagero) grande come un dito di una mano. Mi vennero i brividi...Lo stavo per mette in bocca... meno male che mi accorsi in tempo. Questo fù sufficente per dire basta alla minestra di cavoli. Lo lasciai infilato alla forchetta senza farlo notare a gli altri seduti con me (per galateo). Mi chiedevano Benito perchè non mangi? Risposi che la minestra di cavoli non era per me... Quando venne il cameriere, presi la forchetta, senza dire una parola, per non attirare l’attenzione degli altri e la mostrai al cameriere; quando si rese conto di quello che era attaccato alla forchetta, gli vennero i brividi anche a lui. Mentre cercava di scusarsi gli feci cenno di stare zitto, (non volevo disturbare gli altri che mangaiavano) mi chiese se volevo mangiare qualche altra cosa. Dissi che non avevo appetito, e gli chiesi di portarmi un po di frutta. Mi portò due arange e due banane. Questa era la prima volta che mangiavo una intera banana. Intanto ci allondanavamo sempre di più dalla terra, il nostro panorama era ridotto a cielo e mare. L’unica cosa che ci restava di guardare era la lunga scìa che la nave tracciava dietro di noi, e di tanto in tanto ci avvisavano attraverso degli altoparlánti che vi erano dei delfini in vista. Non si poteva stare a lungo fuori, perchè non era più caldo. Il cielo non era più limpido,e ilmare comiciò ad agitarsi, e questo ci impedì di incontrarci regolarmente con gli amici. La maggior parte di noi, passavamo lunghe ore in cabina da soli e ci addormendavamo con lo stridìo della nave. La nave ci cullava continuamente, il mio lettino era proprio sul finestrino e quando guardavo vedevo una volta il cielo e un’altra volta solo il mare, dava la sensazione che il finestrino era sotto acqua e questo mi facefa vivere in uno stato d’ ansia. Spesse volte provavo di andare al ristorante, ma a metá strada dovevo ritornare in cabina. Di lá chiamavo un cameriere il quale mi serviva molto bene. Ricordo una volta mi portò un pollo intero. (Feci festa quel giorno!) Una volta incontrai Finuzza, anche lei cercava di andare a mangiare, e soffriva moltissimo di mal di mare. Piangeva poveretta... ricordo diceva:”figlicelle mie chi m’aviti fattu”!!! E ripeteva questa frase continuamente, aggiungendo: “Sant’Antonio miu pensace tuni”. Spesse volte la incoraggiavo, dicendo ancora un pò e poi saremmo arrivati. Infatti il tempo passava, e ci avvicinavamo sempre di piú al Nord America. I giorni erano grigi e pioveva a dirotta. Faceva un freddo da cani come si dice, e mi chiedevo dove stiamo andando? Era quasi il mese di Maggio (mancavano solo un paio di giorni per il primo di Maggio) e mi occorreva mettere il cappotto quando uscivo a prendere una boccata d’aria. Avevo lasciato l’Italia con un vestito estivo ed ora qui mi serviva il cappotto. Questo mi disturbava moltissimo. Intando sulla nave ci cominciamo a preparare, per lo sbarco e soprattutto eravamo in pensiero per la dogana. Io a dir la veritá non avevo alcun timore perchè non avevo nulla da dichiarare, tranne un grandissimo capicollo. Gli amici tutti sulla nave mi dicevano: “Benito mangiamolo qui tra di noi, prima che se lo mangino gli altri? Ma io risposi che lo avrei passato, e che il capicollo lo avrei mangiato con i miei cari a Toronto. Tutti mi scoraggiano dicendo che non si poteva passare, nessuna spècie di salami. Però io rimasi fermo alla mia decisione. FINALMENTE ARRIVO AD ALIFAX IL FAMOSO PIER 21 Il Capicollo
Il Capicollo Era il 2 Maggio del 1964 quando arrivammo ad Alifax. Il famoso Pier 21. Era una giornata freddissima per tutti noi che avevamo lasciato il caldo sole Italiano. Ci salutammo con tutti gli amici che procedevano per gli Stati Uniti... Salutai la ragazza americana Barbara Totorotò, salutai Nunzia Esposito la ragazza napoletana dove ci scambiammo gli indirizzi, promettendoci di scriverci a vicènda... Salutai tutti gli altri amici, e poi ognuno di noi era per conto proprio cercando di trovare una soluzione per la dogana. Tutti eravamo preoccupati, perchè tutti ci tenevamo tanto a passare quella piccola miseria che portavamo con noi, per portarla ai nostri cari. Io mi guardi attorno e contemplavo i doganiri. Mi accorsi che era molto facile per me passare quel capicollo. Poichè i doganieri sapevano che noi non parlavamo l’inglese, non ci facevano domande, ma ci facevano segno di mettere le nostre borse da viaggio sul bancone e le aprivano. Guardavano cosa c’era dentro e poi vi facevano una croce con un pezzo di gesso. Quando mi resi conto di quello che accadeva, aprii la mia borsa presi il capicollo e lo misi nella tasca del cappotto; piegai il cappotto e lo misi sul mio braccio. Quando arrivó il mio turno misi la borsa sul bancone, l’aprirono e fecero una croce sulla borsa. Tutto lì. Mi allontanai un pó presi di nuovo il capicollo e lo rimisi nella borsa. Gli amici mi chiedevano con ironia se avevo passato il capicollo; quando glielo mostrai, volevano sapere come avevo fatto a passarlo. Mario Miceli mi chiedeva: “Compare Benì parrace tu cu chissi!” (come se io parlassi l’inglese!) Lui era preoccupato perché gli aprirono il baùle, ed era rammaricato per quello che gli stavano prelevando. Portava del salame con delle semenze, le quali sarebbero servite al fratello per piantarle nell’orticello. Era molto dispiaciuto. Luigi Fiorino portava un intero maiale... aveva la sua famiglia e questo era una grande necessitá di passarla. Evidentemente aveva conosciuto qualcuno che gli fece cenno di dare delle mange al doganiere, e cosí anche lui passó il suo piccolo patrimonio. SUL TRENO PER TORONTO
Avevamo appena passata la dogana e tutti eravamo ansiosi di metterci sul treno. Eravamo stanchi ma euforici se così posso dire. Non vedevamo l’ora di arrivare a Toronto e riabbracciare i nostri cari. Così dopo una lunga sosta ad Alifax ci misero tutti su di un treno. Quei vagoni mi sempravano dei vagoni bestiame. Specialmente dopo un pó la gente stanca si cominció a togliersi le scarpe, qualcuno forse aveva addosso la stessa biancheria intima da quando aveva lasciato il paese; insomma vi era un cattivissimo odore in quel vagone. Questo era ancora più forte quando si usciva dal vagone e poi si rientrava. Questo veniva alleviato quando ci concentravamo al panorama che era stupendo. Delle scene che ricorderó per sempre. Gli alberi di moltissimi colori, le colline maestose e verdeggianti ci davano un senso di gioia, e che dopotutto il viaggio stava per volgere al termine. Ricordo ammiravo un grande lago; credevo fosse il mare e mi chiedevo, perchè la nave non faceva sbarco a Toronto? Qualcuno mi disse che quello non era il mare, ma era il lago Ontario. Passammo vicino a molti cimiteri di macchine, ammuchiate l’una sopra l’altra, sembravano nuove... Mi chiedevo: Come possono buttare delle macchine quasi nuove? E dicevo che terra ricca! LUNGA SOSTA A MONTERAL
Arrivammo a Montreal verso le quattro del mattino. Molissime persone scesero a Montreal, rimanevano ancora dieci lunghissime ore per volgere a termine questo lunghissimo viaggio. Peró per quella lunga sosta che ci semprava un’eternitá, ci causó di arrivare a Toronto il giorno dopo verso le otto del mattino. Queste erano veramente le ore piú lunghe. Eravamo molto stanchi, senza dormire poco mangiare e molta ansietá. A nostro vandaggio, ora i vagoni del treno erano semivuoti e ognuno di noi si sdraiava comodamente sui sedili disponibili. Cercando di riacquistare nuove energie ed essere decenti alla presenza dei nostri cari quando saremmo arrivati. Saremmo dovuti arrivare la sera tardi dello stesso giorno, peró il ritardo ci fece trascorrere un’altra nottata su quel treno. La mattina seguente, ancora si costeggiava quel grande lago che rimase con noi fino alla fine del nostro viaggio. FINALM ENTE A TORONTO (STAZIONE FERROVIARIA) 4, Maggio 1964
Arrivammo a Toronto il 4 Maggio del 1964 alle otto del mattino. Era una giornata bellissima, avevo il cappotto sopra il braccio peró non desideravi indossarlo. Fui uno dei primi ad uscire fuori. Chiesi a Finuzza di guardami la borsa da viaggio, il mio cappotto e mi recai fuori per vedere mio fratello Franco. Subito mi vide tra la folla e mi chiamó, così lo salutai, e poi ritornai a prendere le mie cose che Finuzza custodiva. Lì, salutai tutti caramente, gli amici paesani e compagni di viaggio, e ritornai subito fuori dove mio fratello Franco mi aspettava. Aveva una bellissima macchina rossa scappottabile, una Meteor Mercury del 1963 era favolosa. Chiesi a mio fratello di fermarci a qualche parte per fare un telegramma a nostro padre, per fargli sapere che tutto era andato bene. Andammo in un locale (non ricordo dove) e mio fratello chiese di voler fare un telegramma. Ero frustrato non aveva capito nulla di quello che mio fratello diceva...
Ricordo vividamente che mentre ci recavamo a casa gli dissi: “Non ho capito una parola di quello che hai detto, quado siamo andati a fare il telegramma” . Continuai, mentre contemplavo le strade e le casette canadesi; dicevo che razza di case sono queste? Ero deluso! Gli dicevo che non mi piaceva vivere lí, e che appena avrei fatto dei soldi sarei ritornato al paese. Mentre egli con molta pazienza, m’incoraggiava dicendo, che mi sarei abituato come tutti gli altri. Aveva ragione! Cosí arrivammo a casa, salutai tutti caramente, ed al pomeriggio m’invitarono a vedere una partita di calcio. La stanchezza era passata, i miei vent’anni avevano ricuperato tutte le forze in un batter d’occhio. Qui finisce il mio viaggio, ma credo opportuno raccontare questo breve episodio. Mio fratello Franco, il giorno seguente mi chiese di andare con lui giù in Cittá. Parheggiò la macchina e ci misimo in cammino. Noi camminavamo sul marciapiede Nord della strada Bloor all’incrocio della strada Young. Sul lato opposto a noi dall’altro marciapiede Sud, qualcuno mi chiamó di nome a voce alta. Mio fratello mi disse: “ancora devi arrivare e giá la gente ti conosce”! Era un amico che avevo incontrato sulla nave... Sin da quel giorno non ho mai piú incontrato degli amici di viaggio, tranne gli amici paesani... Benito Viapiana Toronto 27 Gennaio 2010 Telefono (416) 299-1872 Gennaio 2010
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