Man mano che le
case si costruivano intorno agli alberi secolari, lo spiazzo fra la
Chiesa di San Nicola, la Banca e la strada che andava verso i rioni di
Brunetta, Basso e Petrone, acquistava sempre di più l’aspetto della
piazza, e diventava di conseguenza, il punto di ritrovo per
chiacchierare, stare insieme, il posto dove si giocava, all"Oglio",
alle "nucille" a guardia e ladri, quando si usciva da casa e qualcuno
chiedeva dove si andava, si rispondeva, “ sutta l’umbri alla chjazza”.
Vicino al gigantesco platano, che ancora oggi si trova, vicino alle
poste, vi era una grossa pietra di granito, rimasto dalla costruzione
del monumento al Senatore Mele, piuttosto squadrata, che fu adibita a
vari usi, come tavolo per mangiare qualcosa, come supporto per esporre
la merce in vendita, frutta, verdura o gli alici e le sarde che
venivano da Amantea, tavolo da gioco, supporto per i pupazzi di neve e
non ultimo come palco per l’oratore di turno. Più in basso dietro la
chiesa vi era un boschetto di conifere, messe lì in concomitanza con
l’erezione del monumento e chiamato quindi “ parco delle rimembranze”,
ancora esistente, quindi la piazza si animava ogni giorno con eventi e
personaggi nuovi.
Troviamo una tal Gennarino di Tessano, invasato fascista che, salito
sulla pietra e con voce nasale redarguiva i passanti affermando che il
Duce ci aveva dato “pane e companatico”.
Dalla piazza passavano tutti, passava:
“Ciccu” (Francesco Greco) con il suo incedere ondeggiante da destra a
sinistra e viceversa, che era lo spazzino del paese ed arrotondava nel
girare i rioni a propagandare la merce che si vendeva in piazza. Un
mestiere tipico del meridione, che Totò immortalò in suo film.
“Tiriolu” (Ponzio Rosalbino) uno scemo che quando usciva in piazza i
giovani lo canzonavano battendo le mani, lui lanciava pietre e
parolacce, ma quando la gioventù non lo stuzzicava , era lui che li
redarguiva , e chiedeva perché non battevano le mani, forse avevano
paura, evidentemente nella sua mente solo quando lo canzonavano, si
sentiva protagonista.
“Gustinu” (Agostino Segreti) era una sorta di sfaccendato, che tirava
il mantice occasionalmente in questa i in quella forgia di fabbro, e
si guadagnava qualche soldo, ma aveva un posto fisso era il portagrancassa della banda musicale del paese, e quindi aveva la sua
bella divisa con il cappello, che ad ogni occasione la sfoggiava con
aria di sussiego, durante le feste era uso che le famiglie più agiate
invitassero a pranzo i musicanti e immancabilmente Gustino era
presente ad abbuffarsi in quei giorni di festa.
“Cuzzetto” (Salvatore Barone) era il più eccentrico di tutti. Svolgeva
la sua attività in due negozietti a ridosso delle chiesa di S. Nicola
, a fianco a lui vi erano i “Petrunilla” i fratelli Francesco e
Salvatore De Franco, che adibirono i locali prima come rimessa delle
carrozze, poi come garage d’auto, oggi vi è una specie d’emporio. Cuzzettu, faceva l’artigiano e il commerciante, in qualità di
artigiano era ciabattino e barbiere, in qualità di
commerciante,vendeva frutta e verdura le gassose, e quanto la fantasia
gli suggeriva.
Si racconta che una volta nell’accingersi a sbarbare un forestale, gli
chiese se la rasatura che gli stava per fare doveva durare una
settimana, tre mesi o sei mesi, il compenso era diverso in base alla
richiesta., la scelta cadde sui sei mesi, ma la barba ben presto
rispuntò, come era ovvio ed allora il milite si recò da Cuzzettu a
protestare e lui con fare serio gli disse: “ ma tu ti sei lavato la
faccia?” al sì del forestale soggiunse, “ ecco perché è ricresciuta
non dovevi lavarti.” Oppure a quell’altro che voleva la risolatura
degli scarponi, gli chiese se voleva chiodi normali o chiudi che
sarebbero durati in eterno, oppure ancora soleva affermare che la
mattina presto si recava davanti al negozio per spingere con la pancia
il gigantesco olmo che stava lì davanti, dopo averlo ben innaffiato,
ed affermava che con questo sistema guadagnava qualche cm. Pitturava
spesso i suoi locali con colori e forti e lo stesso faceva con due
bidoni che aveva davanti, dove coltivava amorevolmente le ortiche.
“Pirune” (Salvatore Merenda) era un invalido di guerra e nelle
ricorrenze solenni , quando si festeggiava in piazza, sfoggiava la
sua divisa di caporale, con la medaglia appuntate al petto, con un
aspetto da guerriero, ma questo suo comportamento attirava i frizzi
dei giovani, qualche battuta ironica, che non lo lasciavano per niente
indifferente.
Antonio caduto, che ritornava tra i sopravvissuti dei Lager nazisti,
con la mente sconvolta dal terrore con il il corpo provato da
maltrattamenti, aveva una avversione profonda per tutte le persone che
indossavano una divisa, chiamandole "carne venduta", si consolava
correndo in bicicletta, e bevendo vino, più volte arrestato, piuttosto
che curato finiva la sua esistenza in un manicomio di provincia .
E per dovere di cronaca "Ciambarone" l'accalappia cani e l'eterno
ubriaco, persona simpatica che dopo aver bevuto, nelle cantine del
centro, se ne andava barcollando e cantando, senza dar fastidio a
nessuno se non quello che derivava dal suo cantare, abitava a
Doviziosi. |