Che l’avvocato Achille Morcavallo non vedesse di buon
occhio l’avvocato Giovanni Agnelli, l’ho capito subito dopo aver letto
l’articolo pubblicato giovedì 20 febbraio da questa testata dal titolo “La fine
di un piccolo uomo”. Ciò che non mi spiego, ma che mi ha colpito molto e mi ha
spinto a rispondere all’avvocato, è il perché di tanto astio e rancore nei
confronti di una persona che “anche” secondo il Presidente della Repubblica,
Carlo Azeglio Ciampi, “ha lasciato un vuoto”.
Non voglio sputare sentenze, come si dice in gergo,
ne fare l’avvocato difensore di alcuno, soprattutto di fronte a due istituzioni
forensi come l’avvocato cosentino e il compianto avvocato nazionale, ma mi
chiedo perché tanta sottigliezza e scaltrezza nelle parole di Morcavallo nel
descrivere la vita e i traguardi di Giovanni Agnelli. Quale significato
attribuire a frasi come quelle lette nell’articolo di cui sopra e che riporto
nuovamente all’attenzione dei lettori: “L’umanità non perde nemmeno un po’ del
valore per la sua assenza”; “Non piango sulla fine del non imprenditore”.
Perché l’avvocato Morcavallo
non ha detto determinate cose a suo tempo, cioè prima del 24 gennaio scorso?
Forse meditava che la sua critica non aveva le basi per mantenersi in piedi.
Ora mi chiedo: ma l’avvocato Morcavallo conosceva
Giovanni Agnelli? Oppure è l’unica voce veramente stonata fuori dal coro che
pensava di passare inosservata agli occhi di qualche attento lettore? Non è
stato un bell’esempio e un buon insegnamento quello che Achille Morcavallo ha
dato ai lettori e ai suoi estimatori.
Eppure io lo ricordo sin da quando ero bambino come
una persona sapiente, preparata, saggia e colta ma soprattutto come il maestro
di vita e di diritto. Oggi però devo ricredermi. Posso accettare la dicitura di
maestro di diritto, infatti l’avvocato critica la nomina di Giovanni Agnelli a
Senatore a vita, imputando l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga
di violazione del II° comma dell’ART. 59 della Costituzione (“il Presidente
della repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno
illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico,
artistico e letterario…”) perché non riesce ad inserirlo in nessun contesto; ma
è inaccettabile la dicitura di maestro di vita, sempre in riferimento
all’articolo in questione. Perché tutti o quasi conosciamo il destino che si
vendicò spietatamente e ripetutamente su Giovanni Agnelli.
Colpì dapprima il padre quando più ne avrebbe avuto
bisogno; per opposte ragioni né la madre né il nonno seppero colmare quel
vuoto. Colpì lui più volte nel suo stesso fisico. Lo ferì ben più a fondo con
l'instabilità mentale del figlio, poi con la morte improvvisa del figlio di
Umberto che gli era carissimo e che aveva designato a succedergli; infine col
suicidio di Edoardo, che chiuse un ciclo di perdite e di abbandoni.
Una storia cupa che a giusta ragione potrebbe
definirsi shakespeariana se non fosse che non si è svolta per il potere e per
le cupidigie che ne derivano, ma per casuale destino e quasi per una legge di
severa compensazione: tanta era stata la fortuna di nascere con quel nome e
altrettanta fu la sfortuna che su quel nome si è abbattuta.
Di fronte a quei colpi disseminati in tutto il corso della sua lunga vita
Gianni Agnelli ha reagito d'istinto, nel solo modo che la sua natura gli
consentiva: sdrammatizzando, negando dentro di sé e attorno a sé l'elemento
tragico di quelle vicende, coprendole e rimuovendole rapidamente con la legge
cerimoniale della vita che deve comunque continuare nonostante i prezzi che le
debbono esser pagati.
Credo che questo sia l’esempio migliore che
l’avvocato Giovanni Agnelli ha lasciato in eredità all’avvocato Achille
Morcavallo affinché quest’ultimo possa ritenersi anche un maestro di vita.
“Multum legendum est, non multa” diceva Plinio il
Vecchio.
*studente
Pubblicato
su “il Quotidiano” del 22/02/2003