Affermatosi il Partito Nazionale Fascista, approvato anche il
famigerato Codice Rocco, anche Dipignano ebbe il suo primo Podestà fu
l’avv. Paride Manes, Cosentino. S’insediò nel luglio del 1926 e
mantenne la carica fino al febbraio del 1927.
A parte gli atti d’ordinaria amministrazione, il podestà Manes poco si
preoccupò degli effettivi bisogni della cittadinanza, ma si preoccupò
di introdurre in tutti i ceti sociali, la dottrina fascista.
In occasione della venuta a Cosenza di Giovanni Giurati, ministro dei
lavori pubblici, gli conferì la cittadinanza onoraria di Dipignano, in
ossequio a quanto lo stato centrale stava facendo per le popolazioni
meridionali.
Inoltre aiutò la colonia agricola dei figli morti in guerra, che
occupava i locali dell’ex convento della Riforma, dandogli, a titolo
gratuito altri quattro locali e riducendo il canone di fitto, che
versava al comune di £ mille. Tale colonia aveva solo il nome di
agricola, ma, in effetti, era diventata una specie di confitto
artigianale dove i maestri artigiani del posto insegnavano ai
convittori presenti a diventare, calzolai, barbieri, sarti, falegnami.
Si racconta di una disputa fra don Ciccio Cozza e l’amministrazione
della scuola, circa la qualità pessima del vitto servito ai
convittori, le derrate alimentari erano vendute alla scuola da un
proprietario terriero del luogo, e don Ciccio che era sempre disposto
a spezzare una lancia a favore dei più deboli, si fece paladino nel
rendere pubblico il fatto; fu messo a tacere dai politici, ma il vitto
migliorò.
A Manes subentrava il commissario Achille Greco, poi Podestà, e vi
rimase fino al 1930, il quale ossequioso ai disposti fascisti, istituì
gravose tasse sulle vetture pubbliche e private, sui domestici, sul
bestiame e su arti e professioni e non ultimo sul commercio, si
stabilì per se uno stipendio di 800 lire mensili e definì un
contributo annuale del comune alla Confederazione Generale Enti
Autarchici di £ 366, inoltre di autorità cambiò il nome della piazza
da “ Sotto gli Olmi “ Piazza dei Martiri” , nome ancora conserva.
Nel 1913 arrivò a Dipignano un altro parroco
Don Luigi Arturi, a reggere la parrocchia di San Nicola Blandifori,
stava insieme ai ragazzi ai quali insegnava non solo la dottrina , ma
che qualche volta era un bene bere qualche bicchiere di vino , e per
lui ogni ora era buona per gustarlo insieme all’amico Antonio Albo,
che gestiva un negozietto nei pressi della chiesa.
Alla scadenza del mandato di Achille Greco, fu nominato il dr Michele
Arturi, fratello minore di don Luigi, il quale affidò i compiti di
ordinaria amministrazione al suo Vice , Francesco Spada.
Altro personaggio che cumulava diverse cariche fu Eugenio Capocasale,
Ufficiale Postale, infatti era stato nominato fiduciario della
Federazione Fascista Autonoma degli Artigiani d’Italia, con l’invito
ad organizzare le forze artigiane dipignanesi, segretario politico
della sezione locale del fascio e Capo Manipolo della Milizia
Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Nella scuola elementare insegnava Giuseppe Misasi, esponente di
riguardo della Federazione provinciale fascista; mentre il direttore
era l’autoritario Attilio Fanelli, che secondo i dettami della nuova
politica spingeva i giovani allo studio ed allo sport, e sotto di lui
nacque la prima squadra di calcio dipignanese.
La sanità era rappresentata dal farmacista Stano Plastina e dal medico
condotto Beniamino Mele.
Nel corpo della “milizia” si affermava Vincenzino Aloe, prima con il
grado di capitano e poi con quello di seniore.
Nel 1934 il podestà Arturi informò il Prefetto delle gravi condizioni
socio-economiche dei dipignanesi e chiedeva il ripristino dei lavori
per la costruzione dell’edificio scolastico, fu ben poca cosa a dir la
verità, ma i lavori ripigliarono.
Perciò, viste le condizioni difficile di vita, visto che le frontiere
erano chiuse, quindi l’emigrazione vietata, furono tanti i dipignanese
che si arruolarono volontari per andare a combattere in Africa
Orientale. Il Duce, intanto chiedeva sacrifici e invitava i cittadini
a consumare solo prodotti italiani, a rinunciare al lusso ed al
superfluo e ad aiutare la Patria con ogni mezzo compreso la raccolta
volontaria di oro e metalli. Così anche Dipignano si accingeva a dare
l’oro alla Patria, nei vari rioni cominciò la raccolta, furono date
alla Patria, fedi nuziali, delle catenine, delle medaglie nonché
pentolame vario di rame. Ai “Volontari” che si arruolavano per andare
a combattere in Eritrea o in Etiopica, lo stato dava una paga
giornaliera di cinque lire ed in più un assegno mensile che mandava
direttamente alle famiglie. A dir la verità non era neanche facile
partire, perché l’offerta superava la richiesta, ma con l’operato del
capitano Vincenzo Aloe, diversi riuscirono a partire, ed era sempre
pronto ad aiutare i più bisognosi.Vi furono anche le partenze per la
Spagna, ed anche qui vi furono dei morti dipignanesi, ma anche premi,
come la medaglia data ad Aloe Carmelo per la battaglia di Uork Amba, o
la decorazione al valore avuta dal caporale delle “Frecce Nere” Stella
Alfonso.
Negli stessi anni, dipignano ospitava alcuni confinati politici,
persone che per lo più erano del centro-nord italia, e erano accolti
dai dipignanesi con simpatia senza grossi rancori, anche perché il
podestà Arturi non era cosi rigido, come la prassi fascista
richiedeva, basti pensare che fra i suoi amici stimati annoverava don
Ciccio Cozza, che certo non era fascista.
Alcuni giovani nei corsi premilitari si distinsero in varie discipline
sportive, nel ciclismo Sino De Franco, divenuto campione regionale;
nel podismo Ottorino Morelli; quale portiere della squadra di calcio
Vincenzo Meandro, che acquistò fama di imbattibilità.
Anche Dipignano ebbe le scritte sui muri delle case, a grossi
caratteri neri, detti e motti mussoliniani quali: «credere, obbedire,
combattere» - «il duce ha sempre ragione» - «meglio vivere un giorno
da leone che cento anni da pecora» - « se avanzo seguitemi, se
retrocedo uccidetemi” e cosi via.
A Dipignano, l’incarico di eseguire tali scritte era affidato ad un
certo Carlino, imbianchino completamente analfabeta, e le scriveva
copiandole da un foglio che le veniva dato.
Il “Caffè” del paese era quello di Cicco Alfano, un emigrato tornato
dall’America, ed esercitava la sua attività nei pressi della chiesa di
San Nicola.
Il regime nel 1926 istituì l’Opera Nazionale Dopolavoro, anche
Dipignano ebbe il suo Dopolavoro in un magazzino di casa Apicella e
fece una tale concorrenza al caffè Alfano, fino al punto da dover
chiudere.
Altro dopolavoro fu fatto a Tessano, alla Via Serra, accanto alla
sezione del fascio, di cui era segretario politico Luigi Giordano.
Quindi nel paese esistevano due luoghi di ricreazione: le cantine e il
dopolavoro, le prime erano popolate, specie nei giorni di festa da
contadini e popolani; nel Dopolavoro si riunivano i notabili e i
giovani, per ascoltare la radio, di cui il locale era dotato, per
giocare a dama, a scacchi, a carte e a bere un bicchierino, si
leggeva“La Domenica del Corriere” e “La Tribuna illustrata” che, tra
l’altro, riportavano le immagini dei volti dei divi del momento: il
Trio Lescano, Amedeo Nazzari, Alida Valli e cosi via.
Il 10 giugno 1940, arrivò e Mussolini pronunziò quel famoso discorso,
dal balcone di Piazza Venezia, che portò l’Italia alla guerra, anche
la folla dipignanese, radunata davanti al Dopolavoro, sentì il
discorso dalla radio.
Il Duce aveva ordinato la mobilitazione generale e a Dipignano furono
in molti ad essere arruolati per raggiungere l’Africa e l’Albania,
tra i primi a morire furono Michele De Franco, Alfredo Gallo ed
Attilio Greco; e nell’ospedale da campo di Valona (Albania), nel
febbraio del 1940, durante un violento bombardamento, per le sue doti
di coraggio fu conferita una Croce di Guerra al valor militare Suor
Lorenzina Guercio. I notabili del paese si radunavano nel Dopolavoro
per sentire il bollettino di guerra e ogni qualvolta sentivano la
notizia che le truppe italiane, al fronte avanzavano organizzavano
delle sfilate per i vari rioni , cantando le solite canzoni che
inneggiavano alla giovinezza ed al patriottismo facendosi precedere
dai “tummarini”.
La popolazione con la tessera, rilasciata dal Comune, facevano la fila
per ritirare il pane o altri viveri di prima necessità presso il forno
dei “Tinturi” , famiglia Capocasale e presso il forno di Fiorino o
davanti ai negozi di “Ninnuzzo”, o a quello di “Battuglia”, o di
Apicella .
Il 12 aprile del 1942, in pieno giorno, Cosenza subì un primo
bombardamento e gli abitanti si riversarono nei centri vicini, e
quindi a Dipignano arrivarono gli sfollati. Insieme con loro anche
truppe italiane e tedesche che si accamparono in piazza, alla Cona, ai
Cappuccini, alle Pianete ed anche al bosco di Ciammaro.
Ancora una volta i dipignanesi si comportarono con fare cordiale verso
costoro, e i tedeschi distribuivano qualche leccornia ai bambini, fra
loro vi era un ufficiale medico, che si prodigò in modo encomiabile
verso i malati di Dipingano, fornendo non solo le sue capacità
professionali ma a volte anche le medicine, era in atto in quel
periodo un’epidemia tifoidea.
Il dott. Giuseppe Catalani, direttore e proprietario della omonima
clinica ortopedica di Cosenza, ottenne il permesso dalle autorità
comunali, di insediarsi nei locali della Riforma, in cambio si
accollava le spese per le riparazioni urgenti e l’onere di soccorrere
gratuitamente la popolazione, per incisivo creò anche qualche posto di
lavoro.
Tra gli sfollati v’era un tale dott. Mario Rossi, che istituì un
Consultorio, ed anche se li aveva esercitato la qualche volta la sua
professione, era adibito piuttosto a luogo di ritrovo , per passare il
tempo libero,
Riservato però solo alle persone “IN” come diremmo oggi. Assiduo
frequentatore era Giuseppe Caruso che sostitui’ il podestà Arturi,
quando questi si dimise.
Alla disfatta dei tedeschi ed alla caduta del fascismo anche Dipignano
si svegliò ed un gruppo di manifestanti, guidati dall’indomito mastro
Eugenio Guercio, entrarono di forza nel Consultorio e costrinsero i
presenti a cantare “ Bandiera Rossa”. Vi furono altre manifestazioni,
come del resto avvennero in tutto Italia, contro quei Signori che in
passato, per la loro posizione avevano spadroneggiato.
Cosi fini il Ventennio, e le truppe di liberazione arrivarono anche da
noi, costituite da una sola jeep, guidata da una donna e da tre
militari americani, si fermarono Nella Piazza dei Martiri diedero uno
sguardo intorno e poco dopo ripartirono. |