L’epidemia di colera che scoppiò nel 1911, non risparmiò Dipignano, i
moribondi venivano isolati in contrada “Pesche”, per evitare il
contagio. Questo flagello spinse le autorità comunali a rivedere le
condizione igieniche del paese e a cercare di risanare il territorio
comunale. Era sindaco il prof. Beniamino Mele , che avviò un programma
onde poter rendere più vivibile il paese, inoltre poteva contare
sull’appoggio del fratello avv. Francesco, senatore del Regno, e
dell’amico, avv. Luigi Fera, ministro.
Così, in breve tempo, l’Amministrazione Comunale deliberava la
costruzione delle fognature nei rioni Brunetta e Capocasale; le
riparazioni urgenti del cimitero; ed un progetto per l’acquedotto
siglato dall’ing. Angotti, si decise inoltre, di acquistare, per il
prezzo di lire 8.400, una fonte di proprietà Vincenzo Aloe, denominata
“Donnaciccia”, sita in territorio “Juffrida”.
Altri provvedimenti furono: il potenziamento della illuminazione
pubblica ed un progetto di sostituire l’impianto ad acetilene con uno
idroelettrico, a tale proposito si interpellò anche il comune di
Paterno per poter affrontare la spesa in comune, la nomina della
levatrice e del medico condotto con obbligo di residenza. E con le sue
buone conoscenze, l’On. Fera, il Sen. Mele nonché l’Ing. De Seta,
sottosegretario ai lavori pubblici, il ns sindaco Mele spingeva per
avere l’impianto della linea telefonica ed una strada rotabile che
allacciasse le frazioni di Basso, Petroni e Doviziosi .
Il sindaco Mele non trascurava le relazioni sia a livello locale che a
livello nazionale: partecipò a mezzo comunicazione telegrafica con il
compiacimento e con i più sentiti auguri per lo scampato pericolo per
l’attentato fatto nel marzo del 1912 a Vittorio Emanuele III ed alla
Regina Elena; e non mancò di comunicare ai dipignanesi il
ringraziamento spedito da casa Savoia, Oppure la solenne
manifestazione che si tenne a Dipignano per la consegna della medaglia
al valore al bersagliere Luigi Veltri; o ancora per l’arrivo di un
reggimento di 300 fanti, che pernottarono una notte a Dipignano, in
quella occasione il Comune stanziò una considerevole somma, “per
doveri di ospitalità”.
Se da un lato queste iniziative e festeggiamenti rallegravano il cuore
dei dipignanesi, dall’altro si videro aumentare i dazi sui beni e le
imposte sulla proprietà, e non ultimo l’estensione del “focatico”, un
tributo di varia entità a cui le famiglie , a seconda del loro
presunto benessere, venivano assoggettate. Data la mancanza di regole
fisse causò una valanga di ricorsi e malcontenti.
Intanto, scoppiava la grande guerra ed anche Dipignano diede il suo
contributo di morti ,furono 63, una percentuale alta circa il 10%
delle perdite complessive dell’Italia, stimato a circa 650.000. Si
racconta a tale proposito , che una famiglia di Brunetta , i coniugi
Tufo, persero in guerra ben tre figli.Ricordiamo alcuni nomi decorati
il sergente Deni Ubaldo, ferito il 10 giugno 1916 nella trincea di
Monte Lemerle; il caporale Carcara Alfonso, ferito il 23 ottobre 1915
nella battaglia di Bosco Cappuccio; il soldato Fiorino Luigi, che
periva sul Monte Pasubio il 24 dicembre 1917; il soldato Mangone
Giuseppe che, all’arma bianca, il 19 gennaio 1918 affrontava presso
Sano un gruppo di nemici.
Ad aggravare le condizioni disastrose che la guerra aveva lasciato ,
siamo al 1918,si aggiunse un altro malanno: una epidemia che veniva
dalla Spagna, le prime vittime si segnalarono a Cadige e a Barcellona,
passata alla storia con il nome di “Spagnola”. La stampa dell’epoca,
scrisse che i decessi nel mondo furono circa 20 milioni, nella sola
Italia 70 mila.
La Spagnola, si manifestava con cefalee dolorose, alta temperatura , e
nel giro di 4/5 giorni le complicazioni erano tali che pochi
riuscivano a superarla, e quelli che riuscivano si portavano dietro
strascichi penosi per lunghi anni.
La malattia aggredì, anche la popolazione dipignanese e non vi fu
famiglia che non ebbe da piangere il suo morto di “Spagnola”.
Il Sindaco prof.Beniamino Mele, docente di “scienze naturali” presso
il Liceo “Telesio” di Cosenza, ma anche medico chirurgo, si assunse
l’onere, a titolo gratuito, di sostituire il medico condotto chiamato
alle armi, e offri le sue prestazioni a tutti, senza distinzione e
talvolta dava del suo in favore dei più poveri, per l’acquisto dei
medicinali. |