Dipignano dal 1910 al 1920

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       L’epidemia di colera che scoppiò nel 1911, non risparmiò Dipignano, i moribondi venivano isolati in contrada “Pesche”, per evitare il contagio. Questo flagello spinse le autorità comunali a rivedere le condizione igieniche del paese e a cercare di risanare il territorio comunale. Era sindaco il prof. Beniamino Mele , che avviò un programma onde poter rendere più vivibile il paese, inoltre poteva contare sull’appoggio del fratello avv. Francesco, senatore del Regno, e dell’amico, avv. Luigi Fera, ministro.
Così, in breve tempo, l’Amministrazione Comunale deliberava la costruzione delle fognature nei rioni Brunetta e Capocasale; le riparazioni urgenti del cimitero; ed un progetto per l’acquedotto siglato dall’ing. Angotti, si decise inoltre, di acquistare, per il prezzo di lire 8.400, una fonte di proprietà Vincenzo Aloe, denominata “Donnaciccia”, sita in territorio “Juffrida”.
Altri provvedimenti furono: il potenziamento della illuminazione pubblica ed un progetto di sostituire l’impianto ad acetilene con uno idroelettrico, a tale proposito si interpellò anche il comune di Paterno per poter affrontare la spesa in comune, la nomina della levatrice e del medico condotto con obbligo di residenza. E con le sue buone conoscenze, l’On. Fera, il Sen. Mele nonché l’Ing. De Seta, sottosegretario ai lavori pubblici, il ns sindaco Mele spingeva per avere l’impianto della linea telefonica ed una strada rotabile che allacciasse le frazioni di Basso, Petroni e Doviziosi .
Il sindaco Mele non trascurava le relazioni sia a livello locale che a livello nazionale: partecipò a mezzo comunicazione telegrafica con il compiacimento e con i più sentiti auguri per lo scampato pericolo per l’attentato fatto nel marzo del 1912 a Vittorio Emanuele III ed alla Regina Elena; e non mancò di comunicare ai dipignanesi il ringraziamento spedito da casa Savoia, Oppure la solenne manifestazione che si tenne a Dipignano per la consegna della medaglia al valore al bersagliere Luigi Veltri; o ancora per l’arrivo di un reggimento di 300 fanti, che pernottarono una notte a Dipignano, in quella occasione il Comune stanziò una considerevole somma, “per doveri di ospitalità”.
Se da un lato queste iniziative e festeggiamenti rallegravano il cuore dei dipignanesi, dall’altro si videro aumentare i dazi sui beni e le imposte sulla proprietà, e non ultimo l’estensione del “focatico”, un tributo di varia entità a cui le famiglie , a seconda del loro presunto benessere, venivano assoggettate. Data la mancanza di regole fisse causò una valanga di ricorsi e malcontenti.
Intanto, scoppiava la grande guerra ed anche Dipignano diede il suo contributo di morti ,furono 63, una percentuale alta circa il 10% delle perdite complessive dell’Italia, stimato a circa 650.000. Si racconta a tale proposito , che una famiglia di Brunetta , i coniugi Tufo, persero in guerra ben tre figli.Ricordiamo alcuni nomi decorati il sergente Deni Ubaldo, ferito il 10 giugno 1916 nella trincea di Monte Lemerle; il caporale Carcara Alfonso, ferito il 23 ottobre 1915 nella battaglia di Bosco Cappuccio; il soldato Fiorino Luigi, che periva sul Monte Pasubio il 24 dicembre 1917; il soldato Mangone Giuseppe che, all’arma bianca, il 19 gennaio 1918 affrontava presso Sano un gruppo di nemici.
Ad aggravare le condizioni disastrose che la guerra aveva lasciato , siamo al 1918,si aggiunse un altro malanno: una epidemia che veniva dalla Spagna, le prime vittime si segnalarono a Cadige e a Barcellona, passata alla storia con il nome di “Spagnola”. La stampa dell’epoca, scrisse che i decessi nel mondo furono circa 20 milioni, nella sola Italia 70 mila.
La Spagnola, si manifestava con cefalee dolorose, alta temperatura , e nel giro di 4/5 giorni le complicazioni erano tali che pochi riuscivano a superarla, e quelli che riuscivano si portavano dietro strascichi penosi per lunghi anni.
La malattia aggredì, anche la popolazione dipignanese e non vi fu famiglia che non ebbe da piangere il suo morto di “Spagnola”.
Il Sindaco prof.Beniamino Mele, docente di “scienze naturali” presso il Liceo “Telesio” di Cosenza, ma anche medico chirurgo, si assunse l’onere, a titolo gratuito, di sostituire il medico condotto chiamato alle armi, e offri le sue prestazioni a tutti, senza distinzione e talvolta dava del suo in favore dei più poveri, per l’acquisto dei medicinali.