Dipignano dal 1900 al 1910

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     Il declino del tradizionale artigianato dipignanese segna i primi anni del Novecento e rende la vita difficile per la scarsità delle risorse economiche, la manovalanza a stento riesce a trovare una giornata di lavoro, la carne macellata era un lusso che solo pochi potevano permettersi. I contadini forse anche se abbrutiti dal lavoro, riuscivano a sfamarsi.
Per far fronte a tanta indigenza, giovani e meno giovani cominciarono ad emigrare, in cerca di fortuna. Le mete della speranza furono: l’Argentina, il Brasile e quando possibile, l’America del Nord. Partivano da soli, lasciando moglie e figli in paese. Le rimesse in denaro dall’estero, da parte degli emigrati, procuravano, alle famiglie un qualche benessere e la circolazione di denaro favorì la nascita di piccoli commercianti nei vari rioni. Le famiglie degli emigranti si notavano rispetto agli altri, perché vestivano meglio, e pagavano in contanti.Gli emigranti nordamericani inviavano non solo dollari, ma altresì grossi pacchi, contenenti un po’ di tutto e finanche leccornie, di cui i destinatari, per un senso di solidarietà, mai spento fra la gente del popolo, facevano partecipi i vicini, i parenti e gli amici.
Nel novembre del 1895 la Giunta Comunale approvò la decisione di accentrare tutti gli uffici nell’ex convento dei Padri Riformati, si trattava di trasferire la casa comunale, la pretura, le scuole, le carceri e cosi via, ma per far bisognava effettuare allo stabile, in avanzato stato di degrado, almeno le più urgenti riparazioni, per le quali occorreva la somma di circa 850 lire; ne vennero immediatamente stanziate 490, per dare inizio ai lavori.
Le motivazione addotte dal sindaco, avv. Saverio Serra, reggevano: un risparmio per le casse comunali; una maggiore comodità alla cittadinanza. Così i lavori vennero eseguiti e, nell’agosto del ‘96, i predetti Uffici vennero trasferiti nell’ex convento della Riforma. Tuttavia in seno alla coalizione le polemiche non finirono perché alcuni amministratori preferivano che lo stabile venisse dato a qualche ordine religioso e per la verità furono interpellati i Padri Cappuccini, rispondendo che erano disposti ad accettare purché il Comune desse in perpetuo il fabbricato della Riforma. La cosa non ebbe seguito per il veto posto dal Prefetto, sollecitato da vibrate proteste e minacce.
Su questa vicenda si lesse sulla stampa cosentina (Cronaca di Calabria - anno 11, n0 31 - Cosen­za 27.& 1896), testualmente: “Mi si raccomanda che un sindaco, molto onesto e divoto, abbia voluto spingere la cosa un pochino più in là fino a dividere, egli coi frati, il frutto della questua, che, pure in omaggio alla leg­ge, si è sempre tollerato. E v’è di più. Tre o quattro anni dietro un egregio prosindaco ed un pio consigliere, lusingati con promesse auree, decisero di regalare il convento a certi monaci che, diversamente non sarebbero qua venuti. Tutto erasi combinato; il Consiglio aveva approvato e le bizzochere gioivano per la speranza di baciare presto i cordoni degli incappucciati; ma il diavolo vi mise la coda e il Prefetto non approvò quell’enorme coglioneria”
Altri pensavano che era cosa buona affidare lo stabile all’Ente Provincia, che lo avrebbe destinato a residenza estiva dei convittori del Collegio Nazionale di Cosenza. La proposta era del consigliere prof. Beniamino Mele, riteneva che l’operazione sarebbe stata molto vantaggiosa sotto diversi aspetti, e non ultimo sotto il profilo morale. Inoltre, affermava il Professore, sarebbe stato motivo di orgoglio ospitare una scuola così prestigiosa, anche se per due mesi all’anno.Nel gennaio del ‘900, il Consiglio Comunale accolse la proposta; i consiglieri di minoranza, che avevano espresso voto contrario, si opponevano con la scusa che che non sarebbe stato facile trovare locali idonei dove trasferire gli Uffici.
L’anno seguente il consiglio comunale fu sciolto e fu nominato regio Commissario il cav. Felice De Nava, funzionario della Pretura di Cosenza. Insediatosi dispose l’immediato trasferimenti dei suddetti uffici. A giustificazione della sua decisione affermava che gli Uffici erano sistemati in maniera poco dignitosa e lontani dai centri abitati, e che raggiungere la Riforma, specie d’inverno, era oltremodo difficoltoso; oltre al fatto che riteneva i locali pericolanti.
Sgomberato lo stabile, si riaprì il discorso della Provincia, ma non se ne fece niente per cui i locali restarono vuoti.
 Il 6 agosto del 1900 vennero decisi i funerali solenni per commemorare la morte di Umberto I di Savoia, assassinato da Gaetano Bresci. Fu quantificata una spesa di lire 227,somma notevole per quei tempi; lire 110 dovevano essere utilizzate per la filarmonica cosentina; lire 60 per l’apparecchiatore della chiesa parrocchiale; lire 25 per le candele di cera; lire 24 per numero 6 preti e lire 8 per imprevisti.
In mezzo alla chiesa, venne posto il ritratto del re, ai lati quattro carabinieri, in alta uniforme. A piedi del catafalco, corone di fiori, portate dalle signore, dai rappresentanti del Municipio e delle scuole elementari. La filarmonica cosentina suonò, una toccante marcia funebre. E quindi vi furono i discorsi del Sindaco, Saverio Serra, di Vincenzo Valentini e del consigliere Beniamino Mele. 
 Nel novembre del 1900, la strada Cosenza-Dipignano-Paterno, diveniva provinciale, per cui la manutenzione della stessa diventava dell’Ente Provincia, fu istituito un primo servizio di messaggeria fra Dipingano e Cosenza, ma per avere un regolare servizio ci volle l’aprile del 1905 , mediante un’adeguata carrozza, tirata da cavalli. e la stampa così stigmatizzava l’evento:testualmente: "Col 10 aprile la messaggeria incomincia a prestare servizio da Dipignano a Cosenza. Con tal servizio questo paese, ch’è uno dei più belli della Provincia, vicinissimo a Cosenza, con acque ed arie ottime, con una piazza che offre tutto, macellandosi anche di està la carne di vitella, diventerà certamente la villeggiatura di chi fugge il caldo ed ha bisogno di respirare aria salubre." (Cronaca di Calabria - anno XI, n. 20 - Cosenza 23.3.1905) .
L’8 settembre 1905, circa alle 2,50. , una lunga e terrificante scossa di terremoto fece uscire dalle case la gente e la paura fu tanta che rientrarono solo dopo qualche giorno. Si seppe poi che il sisma era stato veramente catastrofico per alcune borgate di Cosenza e per circa 10 paesi della provincia.Ancora oggi, ad ogni ricorrenza, viene commemorata in molti posti della Calabria, la sciagura di quell’ 8 settembre.
Nel 1910 si formava a Doviziosi,  per opera di un emigrante, Francesco Scornaienchi, convertitosi al Valdismo nelle Americhe,una “Tavola Valdese”. Tornato dal Brasile, lo Scornaienchi iniziò la sua predicazione, prima nell’ambito della famiglia e poi nell’ambito della piccola comunità, ove trovò terreno fertile.La nuova religione si diffondeva e si radicava a tal punto da entrare a far parte, nel 1927, del Circuito Metodista cosentino.