Il meridione in questo periodo ebbe uomini coraggiosi e briganti,
uomini che segnarono la storia con azioni degne di lode e uomini che
commisero ogni specie di nefandezze. Quando i Borboni di Napoli
entrarono in guerra con la Francia, il re Ferdinando IV aveva un
esercito di 80.000 uomini, e fra questi vi erano anche dipignanesi,
ricordiamo un tal Generale Valentini, purtroppo non si conoscono
particolari nè del nome nè della famiglia, un Michele Caruso, si
arruolò fra le file dei borboni, ritornato a casa mantenne uomini
armati, tanto che il Cardinale Ruffo lo incaricò di reclutare gente e
recarsi a Crotone. Il discusso capitano Peppe Mele di cui abbiamo
parlato in altro punto. Questo periodo però, fu caratterizzato da
sorprusi di ogni genere, perpretati sia dai filoborbonici che dai
filofrancesi, e lo schieramento, il più delle volte serviva come
schermo per vendette personali. Anche il nostro paese fu preda di
tanta barbarie a riprova citeremo alcuni episodi.
In territorio di Donnici, il 4 agosto del 1806, perivano, per mano
omicida, rimasta ignota, un tal don Pietro, marito di donna Tomasina
Serra, assieme a donna Chiara Serra. Non ci sono pervenuti altri
particolari, però i nomi, preceduti dalla particella “don”, lasciano
pensare a persone dipignanesi appartenenti ad un ceto sociale elevato.
Analoga sorte toccò, il 9 settembre dello stesso anno, tra i boschi di
Potame, ai congiunti Domenico Antonio Caruso e Luigi Caruso; e a
Rosario Albi, il 20 novembre del 1807.
Sappiamo, da annotazioni sui registri parrocchiali, che, nel novembre
del 1810, persero la vita, in uno scontro violento, Ignazio Caputo,
Salvatore Perri e Francesco Fiorino. Essi, proprio perché
dichiaratamente briganti, non potettero avere i “Sacramenti”, né
sepoltura ecclesiastica. Ed ancora, nei pressi della chiesa di San
Nicola della Piazza, vennero eseguite alcune condanne a morte, emesse
dalle autorità militari. Annotava il parroco del tempo, D. Ignazio de
Simone, che, verso le ore 22 del 2 dicembre 1807, venivano appesi alla
forca due giovani condannati, Saverio Bruno, di anni 25 e Tommaso
Bozzo, di origine napoletana, di anni 23. Il giorno successivo i corpi
furono decapitati dal carnefice, il quale consentì che i “busti”
fossero poi seppelliti nella chiesa parrocchiale. Un’altra condanna a
morte fu eseguita, il 6 maggio 1811. Francesco Muraca, di anni 40,
verso le ore 14, venne fucilato dietro la sacrestia della chiesa di
San Nicola. Sempre lo stesso parroco De Simone annotava che il
condannato si confessò ed ottenne l’assoluzione “in articolo morte”.
Fu però sepolto fuori della chiesa. |