Dipignano dal 1800 al 1815

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      Il meridione in questo periodo ebbe uomini coraggiosi e briganti, uomini che segnarono la storia con azioni degne di lode e uomini che commisero ogni specie di nefandezze. Quando i Borboni di Napoli entrarono in guerra con la Francia, il re Ferdinando IV aveva un esercito di 80.000 uomini, e fra questi vi erano anche dipignanesi, ricordiamo un tal Generale Valentini, purtroppo non si conoscono particolari nè del nome nè della famiglia, un Michele Caruso, si arruolò fra le file dei borboni, ritornato a casa mantenne uomini armati, tanto che il Cardinale Ruffo lo incaricò di reclutare gente e recarsi a Crotone. Il discusso capitano Peppe Mele di cui abbiamo parlato in altro punto. Questo periodo però, fu caratterizzato da sorprusi di ogni genere, perpretati sia dai filoborbonici che dai filofrancesi, e lo schieramento, il più delle volte serviva come schermo per vendette personali. Anche il nostro paese fu preda di tanta barbarie a riprova citeremo alcuni episodi.
In territorio di Donnici, il 4 agosto del 1806, perivano, per mano omicida, rimasta ignota, un tal don Pietro, marito di donna Tomasina Serra, assieme a donna Chiara Serra. Non ci sono pervenuti altri particolari, però i nomi, preceduti dalla particella “don”, lasciano pensare a persone dipignanesi appartenenti ad un ceto sociale elevato.
Analoga sorte toccò, il 9 settembre dello stesso anno, tra i boschi di Potame, ai congiunti Domenico Antonio Caruso e Luigi Caruso; e a Rosario Albi, il 20 novembre del 1807.
Sappiamo, da annotazioni sui registri parrocchiali, che, nel novembre del 1810, persero la vita, in uno scontro violento, Ignazio Caputo, Salvatore Perri e Francesco Fiorino. Essi, proprio perché dichiaratamente briganti, non potettero avere i “Sacramenti”, né sepoltura ecclesiastica. Ed ancora, nei pressi della chiesa di San Nicola della Piazza, vennero eseguite alcune condanne a morte, emesse dalle autorità militari. Annotava il parroco del tempo, D. Ignazio de Simone, che, verso le ore 22 del 2 dicembre 1807, venivano appesi alla forca due giovani condannati, Saverio Bruno, di anni 25 e Tommaso Bozzo, di origine napoletana, di anni 23. Il giorno successivo i corpi furono decapitati dal carnefice, il quale consentì che i “busti” fossero poi seppelliti nella chiesa parrocchiale. Un’altra condanna a morte fu eseguita, il 6 maggio 1811. Francesco Muraca, di anni 40, verso le ore 14, venne fucilato dietro la sacrestia della chiesa di San Nicola. Sempre lo stesso parroco De Simone annotava che il condannato si confessò ed ottenne l’assoluzione “in articolo morte”. Fu però sepolto fuori della chiesa.