Dipignano nel 1200

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      Pare che nel XIII secolo il paese fosse abbastanza ricco. Risulta infatti, che in quell’epoca, Dipignano costituiva una delle nove arcipreture che versava emolumenti, e pure anche abbastanza sostanziosi, alla Chiesa cattedrale di Cosenza. Alla riscossione dell’imposta regia provvedevano degli agenti, chiamati balivi. Essi erano due, uno per Cosenza, l’altro per la Sua ed i Casali. In seguito, nel 1266, venne istituito, per i casalesi, un baglivo distinto da quello della Sila. Nel 1267 la popolazione, secondo un’analisi del Pardi, raggiungeva  1515 abitanti. Lo studioso vi giunge attraverso l’esame delle imposte che, per il Casale, erano pari a 30 once e 9 tari, rispondenti a grani 18180. La popolazione dipignanese superava, quindi, di poco, nel XIII secolo, la metà di quella di Cosenza, fissata con analogo procedimento in 2901 anime.
Ciò fa pensare che, allora, nel Casale gli affari andassero bene. Dipignano rientrava dal 1096 nella famosa “Universitas Casalium “, che costituiva, assieme a Cosenza, la giurisdizione della Sila. Aveva un solo parlamento - scrive in proposito il Dito - formato in proporzione della popolazione di Cosenza” e dei Casali. Si riuniva nella Chiesa Madre di Cosenza.
E’ abbastanza probabile che in quel parlamento i Casali di Dipignano fossero in parte rappresentati da qualcuno dei calderai, che, grazie ai proventi del rame, avevano già iniziato la loro opera di ascesa sociale. Essa storicamente si concretava nel secolo XV, quando il mondo calderaio, grazie ad un’ardita donna, varcava la soglia delle cosiddette professioni “nobili”. Ne dà conferma un documento citato dal Dito, che serve anche a fare “un po' di luce sulla femminilità calabrese forse molto più evoluta allora che nei tempi posteriori”. Il documento è datato 22 maggio 1404. Con esso sì dava licenza a certa donna Cusina, figlia di Filippo di Pastino, calderaio di Dipignano, di esplicare in Cosenza la professione di chirurgia.
L’attività dei calderai pare andasse bene anche nel secolo XV, nonostante le condizioni industriali (se così si può dire) della Regione fossero abbastanza giù. Quando all’inizio del secolo le attività minerarie e metallurgiche calabresi intrapresero la via del declino, le botteghe “ramare” di Dipignano restarono in piedi, in piena salute. Dice il Pontieri che “l’industria ferriera della Calabria nel Quattrocento, nei suoi giusti confini si riduce agli utensili da cucina che manifatturavano i cosiddetti calderai di Dipignano nel loro paese e girovagando per le province”. Questo documento del Pontieri è un’evidente prova dell’importanza raggiunta dall’artigianato dipignanese nel ‘400. E pare che di ciò avesse non poco merito la Casa Aragonese. Secondo altri, invece, Alfonso il “Magnanimo" divenuto Re di Napoli e Sicilia nel 1442, non fu tanto accetto ai cosentini. Il Caruso, nella sua "Storia di Cosenza” scrive che un tal Pietro Curti, sindaco dei Casali, attaccò con veemenza, in un’orazione recitata nella Cattedrale di Cosenza, l’operato di Re Alfonso. “Domandiamo al Re -così si espresse il Curti — la conferma dei privilegi che già deteniamo, caso contrario assolveremo le nostre richieste con le armi e con la forza. Il Re, senza meditare e scomporsi, diede il suo assenso".
Il fatto che le botteghe calderaie, nella prima metà del ‘400, andassero già abbastanza bene, pare un segno non trascurabile per asserire che esse non avessero subito danni, quando le lotte, scoppiate nel 1421, fra Angioini ed Aragonesi, portarono questi ultimi a quella nefasta opera di incendio, spoliazione e devastazione dei Casali                                 

 da: “Gli ultimi Calderai”, di Eugenio M. Gallo