Toponomastica popolare dipignanese tra storia e mito

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    La toponomastica, disciplina ausiliaria della storia, è un patrimonio che riflette, dopo secoli di lenta e graduale trasformazione, il carattere, la fantasia, le consuetudini e l’idioma di una comunità.
Per Dipignano, ed entro, così, nell’argomento che mi sono imposto, relativamente alla toponomastica antica, oltre alle consuete fonti documentarie medievali e di epoche posteriori, in particolare Atti Notarili e carte ormai ingiallite dal tempo reperite in diversi Archivi della Calabria, vorrei parlare di alcuni toponimi popolari di cui è possibile chiarire sia la genesi che il significato.
C’è da dire che Dipignano ha conservato intatti i suoi toponimi anche se, a mio giudizio, molti di essi andrebbero “ristorati” dalle ingiurie del tempo e dalle storpiature del volgo.
Cona, ad esempio, è Icona: dal latino Icon, effigie. Si tratta di una chiesetta che sorge sul lato della via maestra (attuale Via G.M.Serra), dedicata alla Madonna Addolorata.
L’icona di Dipignano fu edificata per il pregiudizio popolare calabrese, che in reminescenza di Ecate, la quale fu detta “Trivia” (poiché per mezzo delle “Empure”, spettri dai piedi di asino, appariva nei trivi per spaventare i mortali), “ed in reminescenza che nel Medio Evo le streghe commerciavano coi diavoli, appunto nell’incrociamento delle vie, ritiene quei luoghi pericolosi perché di notte vi si aggirano gli spiriti (‘i spirdi) e le icone valgono a scongiurarli” (L.Accattatis).
La toponomastica relativa alle località delle frazioni, le nove “ville” che costituivano l’antico casale di Dipignano (Capocasale, Brunetta, Santa Maria, Serritani, Viziosi, Petrone, Muscani, Porchiacche e Motta, quest’ultima distrutta dal terremoto del 1638),è particolarmente varia e interessante e, quasi sempre, riflette fedelmente gli eventi e le attività economiche del passato.
Forgia: fucina, fonderia, dei ramai. E’ il toponimo che racchiude la storia millenaria dell’artigianato del rame a Dipignano. Erano diverse quelle sparse per il paese. La più attiva fu, tra XVIII e XIX secolo, quella dei Mele al rione Capocasale. In data 12 settembre 1843 Il Signor Luigi Cavallo fu Pasquale di Dipignano è obbligato a pagare a D.Francesco Mele ducati quaranta e grana 14 subito di quanto usciva dalla sua fonderia di rame”; in data 25 settembre 1846 Gabriele Puzzo di Dipignano è obbligato a lavorare nella fonderia del Sig. D.Francesco Mele sino all’estinzione del pagamento di ducati 44 e grana 60 (Archivio di Stato di Cosenza -Notaio Filippo Carusi-Dipignano).
Motta: “parola ibrida” (scrisse il Padula) non viene dall’ebreo, ma gli è affine. Motta è ‘Mot’, voce fenicia che significa cemento, creta, poltiglia per edificare.
Toponimo diffuso in Calabria dove Motta (zolla di terra) ha il significato di terrapieno e indica tutte le colline artificiali fatte di creta (cfr. D.Andreotti).
Orre Peske: (in dialetto anche Urre); contrada montana dipignanese a q. 1100. Dal latino volgare òrulus, diminutivo del latino classico ora “orlo, margine,lembo,estremità,fine,confine, etc”; si riferisce al margine, o limite estremo, di un precipizio o di un monte. E’ il luogo in cui, secondo la tradizione orale dipignanese, fiorita sulla bocca del popolo, venivano portati gli ammalati di colera, dopo essere stati banditi dalla collettività. Un episodio, legato all’epidemia di colera del 1911, è quello che vide protagonista tal Ferdinando, meglio conosciuto come“U Cervu”. Le fonti orali lo descrivono come una persona alta e incredibilmente robusta, capace di trasportare a spalla i moribondi, dal centro abitato sino al “lazzaretto”. Ai lamenti e alle imprecazioni dei moribondi, “U Cervu”, durante il tragitto, rispondeva: “O ‘ccu lamenti, o senza lamenti, sempre alle ‘Urre Peske’ ve tocca “. Parrera: pietraia. Così è denominato il luogo dove un tempo si trovavano le cave di pietra da cui si estraevano a forza di picconi i blocchi per ricavarne i conci per la costruzione di case e chiese. “Chista è ‘na parrera de petra molla, ferrigna, ecc.”.
Le fonti storiche ci rimandano l’immagine di una “parrera” dipignanese dove il lavoro era diviso tra i “trincari” (addetti all’estrazione a alla squadratura dei conci), i “capimastro” (rifinitori e decoratori) e i “mulattieri” (trasportatori delle pietre già pronte per la posa in opera).
In questo ameno luogo, dove ho il privilegio di abitare, sorgevano un tempo le “forgitelle”, un antro oscuro dove erano collocate piccole “fornacelle” rudimentali, sistemate l’una accanto all’altra, ed alimentate da grossi mantici (“ursi”), dove i ramai di Capocasale , affaccendati nell’”infernale” fatica, facevano rivivere l’atmosfera di Efesto, tramandata dalla mitologia greca.. Dalle “forgitelle” uscirono un’infinità di manufatti in rame (caccavi, caldaie, catini, bracieri) che venivano smerciati fuori del paese e a questo provvedevano i giovani calderai, detti in gergo “varbottari”, “erbari”, “mussi tinti”. (
uno degli ultimi artigiani)
Porchiacche: Da “purchia”, è corrotto dell’italiano ‘Porca’, solco di terra; ma per traslato è ‘Germoglio delle piante’. Ha significato anche di ‘parto delle troje e delle pecore’. “La voce latina ‘porca’ (osserva Dorsa) contiene appunto questo doppio significato di Scrofa e di Terra alzata fra due solchi, in un campo, perché ne copra la semenza, la quale poi si germoglia”.
Surcu: Toponimo non raro in Calabria. Dal latino sorex; calabrese ‘surice’; italiano topo, sorcio. E’ un fondo non molto esteso nei pressi del fiume ‘Trinefrio’, antica proprietà della famiglia Serra.
Catusu: Dal gr.lat. ‘cadus’, barile; calabrese: ‘Varrile’. Può significare condotto d’acqua. E’ una località della “montagna “ dipignanese.
La toponomastica popolare, dunque, non solo è storia essa stessa, ma è parte essenziale, notevole e cospicua della Linguistica. Attraverso i miei studi ho compreso che la toponomastica meglio conservata, più varia e interessante, è quasi sempre quella del contado per via del secolare isolamento di questo e della sua lontananza dalle attività trasformatrici e artigianali dell’uomo. Mi riferisco ai toponimi di alcune località della “montagna” dipignanese, alle zone impervie, frequentate in passato da pastori, boscaioli, contadini, montanari, mulattieri, quasi tutti gelosi custodi delle antiche tradizioni. Spero che l’oblio non cancellerà mai toponimi come: ‘Camardia’, ‘Cannavale’,’Catusu’,‘Chianu du Cornicellu’, ‘Cocolini’,‘Icanda’, ‘Pantanelle’,‘Peske’, ‘Tavola’.