Il caso di Cusina de Pastino di Dipignano su "Doppia Corsia" n° 11 Anno 2011

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Donne di medicina nella Calabria medievale

di Franco Michele Greco

 

Quasi certamente il primo medico della storia fu una donna: chi avrebbe curato il maschio ferito nella caccia se non lei, per esperienza  conoscitrice delle erbe che raccoglieva ogni giorno, per istinto portata a nutrire, alleviare le sofferenze, medicare. E forse sarà donna anche  l'ultimo medico, quello dei secoli a venire. O così almeno suggeriscono alcuni antropologi, per i quali "la donna nasce medico, mentre l'uomo  deve studiare per diventarlo". E non a caso Oscar Wilde sosteneva che "nessun uomo ha davvero successo se non ha le donne dalla sua parte, perché le donne governano la società". Tuttavia le donne medico, per secoli, furono relegate nell'ombra, e spesso i dottori coi calzoni  si impadronirono delle scoperte delle colleghe e le fecero passare per proprie. La più rispettata delle dottoresse dell'antichità fu Ipazia, che  ad Alessandria d'Egitto, nel V secolo d.C., "era giunta a un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia". Troppo. Linciata dai monaci su istigazione del vescovo Cirillo (poi diventato San Cibilo), i pezzi del suo corpo furono sparsi per la città. La storia ci ricorda le donne medico della Scuola medica salernitana, i cui nomi echeggiano altisonanti nelle pagine dei testi di storia della medicina (Trotula de' Ruggiero, Abella di Castellomata, Rebecca Guarna, Mercuriale, Costanza Calenda), Florence Nightingale, Marie Curie, Santa Francesca Saverio Cabrini, fino ad arrivare a Madre Teresa di Calcutta e al Premio Nobel Rita Levi Montalcini. Per quanto riguarda la Calabria,il nostro interesse si sofferma su un documento preso in considerazione per la prima volta dallo storico Oreste Dito. Con diploma del 22 maggio 1404, rè Ladislao di Durazzo, considerando che "ad mulieres curandas viris sunt feminae aptiores", dava incarico al maestro Benedetto di Roma, giudeo, perché esaminasse le cognizioni mediche e terapeutiche di donna Cusina di Filippo de Pastino, calderaio di Doignano, e le conferiva la licenza, previo esame, per la pratica della professione chirurgica a Cosenza, "in medicandis vulneribus ulceribus apostematibus  doloribus longoribus egritudinibus, et infirmatibus ac aliis et diversis morbis et  passibnibus etc".

Il Regno di Napoi ccstituì senz a dubbio un'oasi a sé stante per le mulieres nel panorama della medicina medievale, soprattutto per la presenza della Scuola medica salernitana e per il clima intercultura'e e multietnico, che si respirava a quell'epoca. Il ricchissimo Archivio Angioino ha traghettato una polposa documentazione sulla presenza di donne medico tra il XIII e il XV secolo nel Regno di Napoli. Ben 24 nomi di chirurghe sono tornati alla luce. Tredici di esse possedevano una precisa licenza per praticare la chirurgia sulle  donne ed occuparsi di precise questioni attinenti la ginecologia e le malattie della mammella. Solo di recente, ho avuto il piacere di leggere tra le carte ormai sbiadite dalla polvere di tanti secoli, nel Registro angioino n.318, il nome di Cusina de Pastino di Dipignano. La figlia del ricco ramaio dipignanese, diventata medico nella Calabria medievale, godeva dell'unanime stima popolare, al punto da essere definita quasi magistra. La fama di donna Cusina ebbe una vasta risonanza in Val di Crati e Terra Giordana, tanto che alcune fonti orali tramandano la leggenda di  una misteriosa donna medico autorità indiscussa, che praticava la dissezione dei cadaveri umani per fini scientifici nei sotterranei della sua antica dimora al crocevia di Capocasale.
Qui, nel cuore pulsante della vecchia Dipignano, visse e operò Cusina de Pastino, donna singolarissima e dai molteplici interessi, dotata di una personalità che con determinazione e una straordinaria intelligenza perseguì quello in cui credeva, anche scontrandosi duramente con le  convinzioni del suo tempo. Donna Cusina, che si era addottorata sui testi della Scuola medica salernitana, sui trattati di Guglielmo da  Saliceto (che verso il 1270 aveva introdotto l'uso del bisturi in sostituzione del ferro rovente utilizzato dai chirurghi arabi) e sulla "Practica  Chirurgica" scritta da Ruggero da Salerno alla fine del XII secolo, praticò certamente interventi importanti per la sua epoca. E' possibile che  ella sapesse arrestare un'emorragia con i legacci, operare un'ernia (o contenerla in bendature), trapanare, ricucire le estremità di nervi recisi, ridurre le fratture, praticare l''anestesia servendosi di qualche mistura. L'essere donna le conqstava la fiducia delle sue consimili mentre l'appartenenza alla Scuola medica salernitana era garanzia di validità delle terapie da lei suggerite. La sua determinazione non fu ostentazione di superiorità ma, al contrario rivelò in lei l'umiltà e la modestia delle sue origini con cui s'incamminò sulla strada tracciata dai sapienti dell'antichità classica, riconoscendone l'autorità incontestata, nella tradizione dei medici del Medioevo ma inserendo, nello stesso tempo, caratteri di peculiarità, scaturiti dalle sue sperimentazioni, e confrontandosi con un altro maestro dell'arte della chirurgia, Cristoforo Pipa del vicino casale di Paterno. Quello che possiamo sostenere con certezza è che in questa donna, storia e leggenda, scienza e magia si confondono e insieme contribuiscono ad alimentare il fascino misterioso che ancora circonda la sua enigmatica figura. Sulla scienza medica di quel tempo noi abbiamo delle vedute e dei pregiudizi radicati. Infatti fra tutte le Arti pratiche del Medioevo, la medicina è forse quella in cui la mano e la mente, l'esperienza e la ragione hanno operato all'unisono per dare i risultati più spiccati. Certo il medico è spesso soltanto un semiciarlatano che opera sulla pubblica piazza e che si limita a tastare il polso, ad esaminare urine, ad applicare qualche terapia violenta (per esempio la cauterizzazione delle emorroidi con il ferro rovente) o a prescrivere rimedi a base di erbe, di decotti e unguenti. Ma la medicina insegnata nei grandi centri dell'Occidente è una cosa seria. La Scuola di Salerno era allora la più prestigiosa. Famosa nei secoli anche col nome di Hippocratica civitas ("la città di Ippocrate"), la Scuola medica salernitana fu un crogiuolo nel quale vennero via via fondendosi tutte le grandi correnti del pensiero medico antico. E non ci deve meravigliare affatto se, in una realtà culturale così aperta e vivace, si colloca perfettamente la presenza e l'attività impensabile altrove, di un nutrito numero di donne.

 Studioso di storia e antropologia