Nacque in Dipignano
il 6 febbraio 1854 da Salvatore Mele e da Prudenza Valentini. Dopo
aver seguito gli studi ginnasiali a Scigliano e quelli liceali nel
Liceo "Telesio" a Cosenza, conseguì, nel 1879, la laurea in
Giurisprudenza nella Regia Università di Napoli.
Giovane di grande ingegno e di vasta cultura, frequentò i Cenacoli
più importanti di Napoli, avendo dimestichezza con i letterati e gli
storici più insigni, che accorrevano nella «capitale del
Mezzogiorno» da ogni parte d'Italia. Gli anni che trascorse a Napoli
per seguire i corsi universitari trovano il Mele al centro di
un'intensa attività: mente aperta e sensibile, avvertiva l'esigenza
di un nuovo corso che avrebbe dovuto trasformare l'Italia in
funzione di grande potenza europea e per nulla trascurando la
soluzione dei gravi problemi che erano nati con l'Unità e che
affliggevano la vita dell'intero Paese. Seguiva, quindi,
attentamente, l'evolversi delle diverse fasi politiche, e
comprendeva ed annotava le difficoltà in cui si erano venuti a
trovare gli uomini dei governi che si alternavano in una dinamica
che non portava a nulla. Fuori dell'ambito propriamente
universitario, approfondiva quei settori più vicini alla sua
posizione ideologica facendone oggetto di ricerca e di studio. Così
si spiega il suo correre nelle redazioni dei giornali politici del
tempo, dove si dibattevano i grandi problemi. Il Mele, dunque, fin
d'allora mostrava inclinazione per la politica e si sentiva
stimolato da tutti quegli avvenimenti che nel momento suo napoletano
erano oggetto di dibattito. E non era il solo che si allontanava
dagli ambienti universitari per interessarsi di politica. Non
bisogna, però, dimenticare che il giovane Mele proveniva da una
regione fortemente depressa per cui sarebbe stato impossibile
risollevarla. Ma egli aveva capito che il Mezzogiorno era carico
d'intelligenza e che dove c'è intelligenza c'è avvenire. Ed era
d'accordo in questo con Rocco De Zerbi, giornalista, scrittore e
uomo politico, ideatore e direttore del •<Piccolo» il terzo giornale
di Napoli per importanza dopo il «Pungolo» ed il «Roma» (1). La
redazione di questo giornale, il più
letto del Mezzogiorno specialmente per i suoi articoli «pieni di
fosforo», fu il luogo dove il Mele foggiò il suo abito di
meridionalista, interpretando e commentando i fatti sia che
riguardassero la cronaca, sia che riguardassero la politica. Il De Zerbi vide in lui un giovane di non poca iniziativa per cui gli
vaticinò una splendida carriera politica. Certo non fu lui a
determinarlo per questo o quel partito, per questa o quella
corrente: De Zerbi, che in Parlamento non ebbe mai una precisa
collocazione, nel mentre osteggiava i rappresentanti della sinistra
non era tenero con quelli della stessa destra. L'essenziale per il
Mele era, allora, di non crearsi conflitti, perciò scelse una via di
mezzo: osservare con discrezione e barcamenarsi tra i diversi
schieramenti dai conservatori ai radicali, prefiggendosi
un'assoluta imparzialità tra le numerose tendenze ed opinioni. Per
questo si spiega che il Mele universitario apprezzava sia Marx che
Engels perché con i loro studi avevano saputo mettere in luce le
origini della società capitalistico-borghese e le crudeli
condizioni della classe operaia. Ritornò a Cosenza qualche anno
dopo, ed iniziò l'esercizio della professione forense, facendosi ben
presto notare quale ottimo oratore tra i primi della Curia
cosentina. Dopo pochi anni di esercizio, tanto nel ramo civile che
in quello penale, il suo nome diventò popolare nella Provincia e
fuori, e Cosenza, con elezione plebiscitaria lo volle consigliere
comunale nel 1887; da quell'anno incominciò la sua vita pubblica,
nella quale egli portò una
nota singolare di competenza e, soprattutto, una correttezza
eccezionale.
In questi anni il Mele fece sentire la sua parola nel fermento di
idee che animava la società, dimostrando cosi di possedere altre
doti che esulavano dal campo giuridico, rivelando un temperamento
equilibrato e dimostrandosi un intellettuale saggio. Gli articoli
di indole politico-amministrativa apparsi sui giornali del tempo
(«La Lotta», «Lotta Civile», «L'Avvenire», «Cronaca di Calabria»),
ebbero molto successo. Pochi, però,ne conoscevano l'autore, perché
il Mele preferiva l'anonimato alla sponsorizzazione.
Egli,ancora matricola politica, dimostrava nei suoi articoli di
conoscere bene i problemi che agitavano la coscienza pubblica del
Paese di fronte ad uno Stato che non era «strumento efficace» di
riforme sociali.
Significativo è quel che scriveva il Mele. secondo cui lo Stato non
doveva limitarsi a tutelare gli interessi delle classi dominanti,
ma doveva intervenire nei fenomeni di distribuzione della
ricchezza regolandoli secondo giustizia, in particolare nel
Mezzogiorno: «...è l'indifferenza del governo che ci umilia. Noi
siamo pronti a rendere al Governo tanta gratitudine, in compenso
del sacrifizio che avrà fatto. ricordandosi che l'Italia non deve
essere matrigna solo per noi» (2).
Per il Mele il Mezzogiorno aveva conosciuto due date fatali, dirà
più tardi: il 1860 e il 1887. L'Unità d'Italia aveva segnato
l'inizio di un «drenaggio continuo di capitali dal Sud al Nord ad
opera della politica intrapresa dal nuovo Stato». Strade maestre
dell'assorbimento e della redistribuzione al Nord della ricchezza
monetaria del Sud, erano state la vendita dei beni ecclesiastici e
demaniali, e, soprattutto, della rendita pubblica. Ma il colpo di
grazia per il Sud doveva venire con la tariffa protezionistica
(1887), che doveva operare «una rivoluzione profonda in tutta
l'economia nazionale». Francesco Mele già maturava, come si vede, il
nocciolo della sua realistica visione del Sud Italia in generale e
della Calabria in particolare; già intuiva quanto inconsistenti e
pericolose fossero le illusioni sulla «realtà economica e morale»
del Mezzogiorno e sulle prospettive di una eventuale «saldatura» tra
Nord e Sud.
Ma vediamo di ricostruire il faticoso cammino che portò Francesco
Mele da Dipignano a Palazzo Madama.
II mandamento di Dipignano, suo paese nativo, lo volle suo
rappresentante nel Consiglio Provinciale della Calabria Citeriore, carica
che egli tenne con costante
unanime fiducia dei suoi elettori fino al 1912.
Nel 1891 fu eletto Vice Presidente del Consiglio Provinciale e, nel
1895, con costante universale fiducia, ne fu nominato Presidente;
carica nella quale fu riconfermato fino al 1912, sempre con
votazione plebiscitaria.
Oggi in cui la politica non è più quella di un tempo, è piacevole
sottolineare questo costante plebiscito dei colleghi del senatore dipignanese, che molto lo stimavano e lo amavano, in una carica
altissima nella quale non ebbe competitori. Con le sue idee dava
alla politica la sua direttiva personale ed avviava il suo personale
lavoro seguendo sempre la stessa linea, partendo dall'analisi
sistematica delle vicende politiche e dei problemi amministrativi
e finanziari della Calabria nel «nuovo Stato».
Di questa linea di attività ne sono testimonianza i discorsi
pronunciati nel Consiglio Provinciale di Cosenza e,
successivamente, negli «interventi» nel Senato del Regno.
Da questi discorsi è, dunque. possibile cogliere il formarsi dei
giudizi e del pensiero di Francesco Mele, che può considerarsi, sia
per formazione, sia per ideali politici. un uomo di destra, ma, in
sostanza, egli rappresenta quella generazione pienamente
postrisorgimentale. estranea alle divisioni del passato, aliena
dalle tendenze sostanzialmente aristocratiche, quando non
autoritarie, della passata classe dirigente.
Un personaggio come il Mele sfuggiva in buona parte alla logica dei
meccanismi locali del potere, o, comunque, non vi traeva un
fondamentale alimento, perché godeva di un peso specifico personale
— abilità politica, preparazione giuridica. capacità oratorie — che
gli assicurava non solo la permanenza, ma anzi una posizione di
prestigio culturale e politica.
Le testimonianze e i documenti raccolti ci presentano il Mele come
un valente oratore per la parola precisa, misurata, concettosa,
signorile, sicché i discorsi che egli pronunciava, erano attesi con
vivo desiderio, ed ascoltati con religioso silenzio e «con grande
godimento intellettuale» dai colleghi e dal pubblico.
Il Mele fu Presidente del Consiglio di Disciplina dei Procuratori e, poi, Presidente del Consiglio
dell' Ordine degli avvocati. Della stima e della, simpatia che
generalmente godeva, si servi per sostenere gli interessi della
Provincia, alla quale rese non pochi servizi. Si deve al suo tatto e
alla sua prudenza, se le agitazioni che si verificarono per le
Ferrovie complementari, all'inizio del secolo, non degenerarono in
sanguinosi tumulti e se fu evitata la minaccia di dimissioni in massa
dei comuni della Provincia (3)
Ed il Governo del tempo, che era consapevole dei pregi di questo
straordinario amministratore, nel 1908 lo nominò Senatore del Regno
per la sedicesima categoria. senza che a lui ne fosse pervenuta
notizia, se non pochi giorni prima (4). Tale nomina fu accolta a
Cosenza e in tutta la Calabria con sincero entusiasmo, e «Ciccio»
Mele (così veniva chiamato dagli amici), accolse, come al solito,
quasi sorpreso, con grande modestia la nomina, telegrafata dallo
stesso Giolitti: «Mi è grato informarla che S.M. il Re (Vittorio
Emanuele III), ha, in data odierna, firmato il decreto che la nomina
a Senatore del Regno. Con le mie sentite congratulazioni, le porgo
la conferma della mia distinta stima. Giovanni Giolitti» (5).
Meritatamente, dunque, veniva chiamato alla carica vitalizia da
Giolitti, il quale ebbe per lui grande stima, e per il quale
Francesco Mele ebbe sentimenti di gratitudine. Ma a Giolitti, si
intenda bene, il senatore di Dipignano non fece mai dedizione
delle sue convinzioni politiche, che restarono, come già
accennato, quelle della «Grande Destra», della destra di Cavour e
di Vittorio Emanuele II, i quali avevano fatto l'Italia del
Risorgimento, di quella Destra storica, che cadde dopo la
rivoluzione parlamentare del 1876.
Fa veramente piacere, rileggendo vecchi giornali della capitale,
constatare, ad esempio, che «La Vita» (uno dei più autorevoli
giornali di Roma) così scriveva a riguardo del neosenatore: «Nel
Senato, l'On. Mele porterà un'alta competenza amministrativa e
un'attività ancora giovane: egli infatti è poco più che
cinquantenne, e può essere non un senatore decorativo, ma fattivo».
E mentre tutti i giornali del Mezzogiorno e quelli della capitale
riferivano di questa elevazione ai Laticlavio, Gaetano Manfredi,
il celebre avvocato, definito il «colosso dell'eloquenza
italiana», così scriveva all'amico «Ciccio» Mele: «In tè si è
voluto onorare la dignità della vita,l'equilibrio e la misura che sono doti dell'intelletto e del
carattere» (6).
Dalla tribuna del Senato il Mele non mancò di reclamare dal governo
quei provvedimenti che più urgevano per l'annosa risoluzione del
problema meridionale e, in particolar modo, per la Calabria. Una
conferma del suo impegno, nell'affrontare i temi scottanti della
«questione meridionale», ci è data dalla corrispondenza epistolare
tra due grandi meridionalisti: Giustino Fortunato e Gaetano
Salvemini. È interessante riportare alcuni stralci di queste
lettere. Fortunato nel rivolgersi a Salvemini scriveva: «Tu sarai festeggiatissimo a Cosenza, ove conoscerai un degnissimo uomo, il
senatore Mele, mio amicissimo»; e in un'altra lettera, sempre
scritta da Fortunato a Salvemini. si ha il piacere di leggere:
«Ottimo il Mele. Se tutti i professionisti del Mezzogiorno
somigliassero al Mele, felice il Mezzogiorno!».
E il Salvemini. invitato a Cosenza dallo stesso Mele, per studiare
insieme i nodi cruciali del problema del Mezzogiorno, così
rispondeva:
«Carissimo Giustino, ieri passai alcune ore col Mele: ottimo e
simpatico uomo: mi parlò di te con grande affetto e venerazione...
sono contento di questo viaggio in Calabria. Il Mele fu assai buono
e gentile. Mi si presentò ricordando l'affetto che tu hai per me. in
maniera proprio commovente. Non poteva mettermi sotto miglior
patrocinio» (7).
A Palazzo Madama il senatore Mele seppe farsi apprezzare per la sua
cultura, per la modestia e la gentilezza dei modi. che gli
acquistarono. ben presto, l'affettuosa amicizia degli uomini più
insigni di quell'alto Consesso: Giolitti. Salandra. Orlando.
Sennino, e anche un grande scienziato, il senatore Guglielmo
Marconi.
Per tutto il 1909 Francesco Mele prese parte, in Senato, a tutte le
discussioni dei provvedimenti emanati dallo Stato a favore delle
città di Reggio Calabria e di Messina, rase al suolo dal terribile
sisma del 28 dicembre 1908. Il terremoto evidenziò la fragilità
delle strutture del Paese, e la «questione meridionale», alla quale
il Mele dedicò tutto il suo impegno politico, si ripresentò in
tutta la sua gravita.
Il senatore Mele fu relatore di due importantissimi disegni di
legge, riguardanti provvedimenti urgenti nelle zone colpite dal
terremoto.
«Dall'importanza di tali disegni di legge — scrive "II Giornale di
Calabria" il 12 luglio 1910 —, si può dedurre senza dubbio la prova della
considerazione cui l'eminente relatore Mele è tenuto in Senato»
Negli anni successivi molte sue interrogazioni furono considerate
tra «le più nere requisitorie» che fino ad allora erano state
pronunciate a Palazzo Madama contro l'incuria del governo italiano
per la sventurata terra calabrese. Il Mele tu relatore di numerosi
progetti di legge. fra cui quelli che riguardavano il Fondo Silano
e il piano regolatore di Cosenza. quest'ultimo studiato di comune
accordo con l'On. Luigi Fera (deputato dei Partito Radicale, di cui
era uno dei leaders).
Sul problema dell'entrata in guerra dell'Italia, nel 1914. Mele
prese posizione pubblicamente come interventista. Aderì, infatti,
alle posizioni dei conservatori capeggiati da Salandra. allora
Presidente del Consiglio, e dal Sonnino (Ministro degli Esteri
nell'ottobre 1914).
Il Mele. in Senato, votò la legge dei pieni poteri nell'imminenza
della grande guerra, ed energica e attiva fu la sua opera durante
l'immane flagello.
L'epilogo di una vita modesta
Dopo la vittoria dell'amata Patria. benché colpito da un terribile
male. il senatore Mele continuò a lottare per i suoi ideali,
spendendo le poche energie rimaste per la risoluzione (ahinoi. mai
avvenuta!) della «questione meridionale».
Gli ultimi anni del Mele furono un lungo e continuo travaglio.
Nessuno avrebbe sospettato che dietro quel sorriso sempre aperto,
dietro quella faccia bonaria, che gli cattivava quella simpatia e
quell'affetto di quanti lo avvicinavano, si celassero le più atroci
sofferenze fisiche.
L'eminente uomo politico, l'amministratore sempre attento per il
retto andamento della cosa pubblica, passava poi nella sua casa di Dipignano lunghe ore di strazio e d'insonnia. Inutili erano state
le cure più intense e premurose prodigategli dal suo amico,
professore sen. Carli di Torino. Poche settimane prima di morire
scrisse queste parole al collega On. Luigi Torrigiani: «La mia
assenza dal Senato, caro amico, è definitiva. Da cinque mesi sono
gravemente infermo, martoriato, straziato da un. epitelioma al
collo, che lentamente e crudelmente mi trascina alla tomba, alla
quale aspiro come all'ultimo mio sollievo. Non ci vedremo, dunque,
più in questo mondo, io che sono un fervido credente, mi lascio
vincere dalla
speranza che troverò in un mondo migliore tante persone a me care e
tante altre mi raggiungeranno, alle quali, di gran cuore, auguro
lunga e felice vita. Di tutti i senatori che ho conosciuto porto
meco un ricordo rispettoso e affettuoso che nemmeno la morte potrà
cancellare. Possano essi, cui auguro fortuna, ricordare. talvolta,
non senza qualche simpatia, il mio povero nome, la mia modesta
persona. Addio, per sempre, caro Luigi. Iddio ti renda felice»
(8).Questa lettera è veramente un documento di fede autentica, di
forza e di bontà d'animo di Francesco Mele. Toccanti sono anche le
parole del suo testamento: «...Desidero essere seppellito nel
modesto Camposanto di Dipignano, accanto ai miei vecchi e adorati
genitori. Il pensiero che possa, per la grazia di Dio. essere a
loro ricongiunto, mi rende meno amara la morte. Non voglio
accompagnamenti, non musiche. non corone, non discorsi, non
commemorazioni. Questo mio vivo e fermo proposito deve essere
subito telegraficamente comunicato a tutte le assemblee, delle
quali feci parte, a cominciare dal Senato. Il mio cadavere sarà
messo in una cassa comune e accompagnato da due preti, possibilmente
amici, e preganti per l'anima mia.
Quando sonerà la mia ultima ora — e molto non può tardare — io
lascerò questo mondo con grande dolore, ma senza rancori per alcuno
o per alcuna cosa.
Spero, pertanto, che Dio mi accoglierà. generoso e clemente, sotto
le grandi ali del suo perdono...
Ed in ultimo prego i soli eredi usufruttuari di distribuire,
prelevandola dal capitale, la somma di lire cinquecento ai poveri
del nostro caro paese d'origine» (9).
Straziato da dolori atroci, il pomeriggio di venerdì 24 ottobre.
Mele moriva.
Modesto sino all'ultimo, volle che le sue esequie fossero fatte in
umile forma, senza cortei, senza fiori, senza discorsi. «Ma ciò non
ha impedito — scriveva "II Mattino" di Napoli — che Dipignano
assistesse a un pio, innumerevole, mesto pellegrinaggio di gente
lacrimante, accorsa a venerare la salma dell'uomo illustre, da
ogni parte della provincia».
E mentre da Napoli Giustlno Fortunato scriveva al sen. Antonio
Cefaly queste parole: «Che tristezza caro Antonio! Ed ho pianto, al
ricordo del povero nostro Mele!», Luigi Torrigiani in Senato
esprimeva, in forma incisiva, leggendo quella
lettera davvero toccante, il senso di una grande scomparsa. Così
nel Senato del Regno tutti, si resero conto di come il Mele
ancora interpretasse i bisogni dei Calabresi (l'ultimo suo pensiero
fu per i poveri di Dipignano) .solo dal momento nel quale il suo
scanno a Palazzo Madama rimase vuoto.
Franco Michele Greco
NOTE
1 La figura di Porco De' Zerbi è ben delineata in R, liberti,
Attualità di Rocco de' Zerbi. Pellegrini Editore, Cosenza. 1973. Il
saggio di Liberti, inoltre, ci consente di ricostruire il periodo
napoletano del giovane Mele.
2 "La Lotta", Cosenza. 19 maggio 1904 (Consiglio Provinciale in
Sessione straordinaria)
3 Atti del consiglio Provinciale della Calabria Citeriore porranno
1901. Per un maggior approfondimento degli avvenimenti. vedi E.
stancati. Cosenza e la sua provincia dall'Unita al fascismo>.
Pellegrini Editore, Cosenza. 1988.
4 Nella tornata parlamentare del 25 giugno 1908. nell'aula di
Palazzo Madama, il senatore Colombo riferiva sulla nomina del
neosenatore Mele, che fu eletto Presidente del Consiglio
Provinciale di Cosenza quattordici volte, e cioè dai 18995 al 1907.
[Atti Parlamentari. Sonalo del Regno, Legislatura XXII - I* Sessione
1904-1908 - Discussioni. Tornata del 25 giugno 1908). Francesco
Mele fece il suo ingresso ufficiale nell'aula di Palazzo Madama il
26 giugno e prestò giuramento.
A pochissimi senatori spettò il privilegio di essere eletti in base
all'ari.. 16 dello Statuto albertino, articolo che prevedeva la
nomina dei presidenti dei consigli provinciali dopo tre elezioni
alla Presidenza. Ci si può documentare sulla vita parlamentare del
Regno in M. Mancini- U Galeotti, Norme ed usi del Parlamento
italiano. Roma. Tipografia della Camera dei deputaci. 1887).
5 «n Giornale di Calabria». Cosenza. giugno 1908.
6 «Cronaca di Calabria", Cosenza. 27 novembre 1928.
7 G. fortunato. Cartf.qgu) 1865-1911. a cura di Emilio Gentile.
Editori Laterza. 1978.
G. fortunato. Carteggio 1912-1922. Editori Laterza. 1979.
8 Questa lettera che può considerarsi, «l'addio al Senato» di
Francesco Mele. fu pubblicata sul numero 270 della «Tribuna» di
Roma. giovedì 11 dicembre 1919. Per l'importante giornale della
capitale questa lettera del Mele fu considerata «un toccante
documento di serenità di spirito, di stoica rassegnazione e di
nobiltà d'animo».
9 Dal testamento olografo del 22 aprile 1919 (Dipignano. Archivio
domestico del magistrato F. Mele). |